La zavorra tasse

La convalescenza sarà lunga ma, come dice il presidente Mattarella, «cominciamo a uscire dalla crisi». Le stime di crescita per il 2015 sono state ritoccate al rialzo (più 0,7%) e i segnali di macroeconomia sono favorevoli. La malattia è stata lunghissima (8 anni) e devastante. La cura a colpi di rigore si è rivelata peggiore del morbo e ha mietuto più vittime che nel 1929.

Il medico che l’ha prescritta – Angela Merkel più i funzionari di Bruxelles a trazione teutonica – è ancora lì a pontificare e questo riduce i margini di fiducia nel sistema da parte di un cittadino sfinito, che ha perduto o visto perdere a chi gli sta vicino la dignità del lavoro. In questo scenario sarebbe però sbagliato non avvertire il refolo positivo e non sperare che si faccia vento. Anche il centro studi di Confindustria ha fotografato positivamente la realtà mettendoci un pizzico di fatalismo napoletano: «Euro e greggio, l’Italia ha vinto la lotteria». Qui lo si sostiene da tempo, la congiunzione astrale è perfetta: l’energia costa meno e la moneta è più competitiva. Due punti cardinali vincenti per la produzione italiana, ai quali dobbiamo aggiungere l’effetto della quantità enorme di denaro messa in circolo da Mario Draghi.

Curiosamente il mini-euro taglia le unghie a chi vorrebbe uscire dalla moneta unica per vendere di più; la cosa sta già accadendo senza strappi e senza controindicazioni folli. Ma in questo scenario, per uscire dall’equivoco della ripresa lenta, il premier Renzi dovrebbe affrontare due temi concatenati dai quali puntualmente svicola: la dimenticata spending review, il sacrosanto taglio dei pubblici privilegi per ridurre la spesa. E l’atto più decisivo per la crescita dell’intero Paese: la riduzione delle tasse a lavoratori e artigiani. Ma, come a dama, senza la prima mossa non c’è la seconda.

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