L’alluvione
matematica

Siamo capaci di multare una cascata ma non di prevedere un’alluvione. E non un’alluvione nel deserto, fatto obiettivamente raro e inaspettato, ma nella valle del Bisagno, da Brignole a Marassi dove ogni anno in questa stagione l’acqua tenta di uscire dagli argini e di andarsene a passeggiare dappertutto, dal centro alla periferia di Genova.

È da più di quarant’anni, dalla tragedia degli anni Settanta con 44 morti, che sentiamo parlare di esondazioni o tocchiamo con mano la forza dell’acqua che circonda quella valle fino in città. E quando piove un po’ di più esce dai tombini, allaga le strade, gocciola dalle gallerie, tenta come richiamata da un canto impercettibile, di arrivare con ogni mezzo al mare. E quando trova un ostacolo, lo spazza via; tre anni fa per ottenere il suo scopo ha provocato sei lutti.

Erano le undici di sera di giovedì quando è andata in scena l’apocalisse consueta. Erano le undici di mattina di venerdì quando è arrivato l’allarme ufficiale dell’Arpal, inoltrato dalla Protezione civile: «Massima allerta fino a mezzanotte». Ma a questo punto, per decretare l’emergenza bastava affacciarsi alla finestra.

La gente è esasperata, gli amministratori non sono in grado di organizzare una pulizia seria dei fiumi e degli scarichi che scongiuri le bombe d’acqua. E i climatologi alzano bandiera bianca: «I modelli matematici non sono in grado di prevedere eventi come questo». Siamo capaci di multare una cascata, ma non di impedire all’acqua di uccidere ancora. E se questo accade non è certo colpa della matematica.

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