L’ingiustizia
dei pregiudizi

Un cattolico può esercitare con equilibrio il mestiere di giudice? Pare di no, stando a commenti espressi da sinistra contro Carlo Deodato. Il relatore della sentenza del Consiglio di Stato che ha bocciato le trascrizioni compiute da sindaci italiani di nozze gay contratte all’estero, è stato sottoposto a linciaggio mediatico per il suo pronunciamento

Le domande delle interviste che ha concesso avevano il tono duro e inquisitorio di un interrogatorio poliziesco. Come ha osato, lei che è cattolico, pronunciarsi su questa materia? Non sa che la religione deve essere un fatto intimo e non dispiegarsi in eventuali azioni pubbliche? Immancabile anche l’accusa di omofobia, che bolla chiunque osi discostarsi, seppure con argomenti e moderazione, dal pensiero unico del sì al matrimonio gay. Eppure Deodato è una persona perbene, un giudice serio e dal curriculum cristallino.

A nulla sono valse le sue spiegazioni: che nelle funzioni di toga non risponde alla dottrina della Chiesa ma alle leggi dello Stato, e la bocciatura delle trascrizioni è motivata proprio dall’applicazione delle norme vigenti. C’è un vuoto legislativo in materia: coprirlo, se si vuole, è compito della politica e non della magistratura. Ragionamenti che non fanno una piega, ma non sufficienti a fermare il processo mediatico. Peraltro utile a confermare la presenza radicata di un vulnus nella nostra democrazia. È ormai dato per assodato che l’azione giudiziaria segua la ricerca della verità non a partire dall’evidenza di fatti, ma mossa da pregiudizi, idee politiche (le «toghe rosse», ricordate?) o ideali religiosi, antipatie o opinioni in generale. Il veleno della malafede va sconfitto. Guai a rassegnarsi all’idea che nei tribunali non ci sia più traccia di onestà intellettuale.

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