Manovra a metà

È una manovra ad espansione, come una vite nel muro. E Renzi spera di appenderci la crescita del Paese, puntando su alcune certezze come gli sgravi fiscali a persone fisiche e imprese (è la prima volta in dieci anni che vengono ridotte le tasse) per portare la pressione sul contribuente dal 43,2% al 42% del pil.

La spinta c’è ed è del tutto inutile far finta di non vederla per pregiudizio personale o ideologico. Assodato questo, bisogna rilevare che la legge di Stabilità fischietta alla luna alla voce tagli. Di spending review non si parla. Le sforbiciate alla pubblica amministrazione fatte durante il 2013 e il 2014 con effetto sull’anno prossimo arrivano a cinque miliardi, ma dei dieci miliardi di riduzione di spesa derivanti dal progetto Gutgeld neppure l’ombra. E i 32.000 centri di acquisto, vere e proprie idrovore di denaro del contribuente, da portare a 3.000? Operazione non pervenuta. Anche per questo Roberto Perotti, consigliere di palazzo Chigi per la revisione della spesa, ha minacciato di andarsene. Esattamente come avevano fatto prima di lui Giarda, Bondi, Canzio e Cottarelli. Tutti vittime delle frenate renziane sul tema della lotta ai privilegi.

Buona parte della manovra è finanziata in deficit e proprio per questo Bruxelles sta temperando la matita rossa. Dalla parte di Renzi giocano due fattori. Il primo è la congiuntura internazionale positiva con il costo dell’energia al ribasso, i Paesi emergenti in stallo e l’export che è tornato a vincere sui mercati. Il secondo è la fragilità dei maestrini oltre le Alpi: l’Olanda si è fermata, la Finlandia è in recessione, la Francia non riuscirà mai a stare dentro il 3% (Hollande non ha ancora fatto mezza riforma) e la Germania rischia di crescere meno di noi. Alzare il ditino ammonitore sarà per loro più difficile.

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