Odino e il caffè freddo

Trentuno metri quadrati con servizi, una piccola palestra, il computer e il televisore. È la cella d’isolamento in cui è rinchiuso Anders Breivik, il fanatico nazista che nell’estate del 2011 massacrò 77 ragazzi sull’isola di Utoya, a due bracciate da Oslo.

Non si può certo chiamarla buco; per le condizioni carcerarie in vigore da noi sarebbe un comodissimo monolocale. Eppure per le poche ore d’aria, il caffè talvolta tiepido e il cibo «generalmente scadente» il detenuto ha portato in Tribunale lo Stato accusandolo di trattamento disumano in carcere e ha vinto: 35.000 euro di risarcimento e l’impegno di alleggerire la detenzione.

La decisione della Corte di Oslo segue parametri del tutto originali, che non hanno nulla a che vedere con Guantanamo o con San Vittore, ma piuttosto con le regole condominiali di un residence. E non può che sorprendere, visto che è la seconda puntata di una vicenda lunare in cui la prima (puntata) fu la sentenza: 21 anni di carcere per una strage con 77 vittime, vale a dire circa tre mesi a vittima.

Tutto ciò risulterebbe sorprendente, ma in qualche modo accettabile se fosse in atto un percorso di redenzione. Invece Breivik continua a mostrarsi col saluto nazista davanti alle telecamere, racconta di «pregare ogni giorno il nostro dio Odino» e non dà alcun segnale di pentimento per quel massacro che ancora oggi considera «una missione contro la folle ideologia multiculturale».

C’è poco da aggiungere, è la Norvegia con le sue contraddizioni. Dove la perfezione, il rigore, la purezza, l’ordine e la bellezza gelida mettono un po’ paura.

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