Oficial o para amigos?

«Oficial o para amigos?». Era la domanda preliminare che Bruno Pesaola detto il Petisso (era piccoletto) poneva al giovane cronista capitato al campo d’allenamento, quasi a far sapere che di risposte ce n’erano due: una a taccuino aperto, l’altra a taccuino chiuso, spesso totalmente opposta.

Pesaola, allenatore di calcio su un pianeta del pallone che non esiste più, è morto ieri a quasi 90 anni nella città che l’aveva adottato, Napoli. Ma la sua visione dell’ipocrisia del mondo è lì, meravigliosa e ambigua: c’è una considerazione oficial e una para amigos. C’è una versione oficial e una para amigos. C’è una verità riservata a pochi e una menzogna dolce per quieto vivere. Come siamo piccoli. La caratteristica peculiare è che il destinatario dell’opinione sia sempre assente. Come siamo coraggiosi. Tutto ciò oggi si chiama immagine. Un giorno chiesero a Jeff Bezos cosa fosse il brand e lui rispose: «È ciò che pensano di te quando non sei nella stanza».

Pesaola era un filosofo con la sigaretta fra le labbra. «Sono nato per caso a Buenos Aires». Venne in Italia dicendo alla madre che sarebbe tornato dopo tre mesi ed è rimasto 70 anni. Ha vinto, ha perso e ha insegnato vita. Come quando diede uno schiaffo a un suo compagno perché s’era permesso di fare un tunnel a Schiaffino ormai decaduto. O come quando, prima di incontrare l’Atalanta (lui allenava il Bologna), annunciò una squadra votata all’attacco. «Li schiacceremo». Dopo una partita giocata praticamente in undici sulla linea di porta, tutti gliene chiesero ragione. E lui contrito: «Ci hanno rubato la idea». Per una volta la versione oficial e quella para amigos coincisero.

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