Piercavillo

Perdono tutti, soprattutto i cittadini. Da un braccio di ferro come quello che stanno mettendo in scena Piercamillo Davigo e il cerchio magico renziano - non sul concetto di politica e giustizia, ma sul primato muscolare della giustizia o della politica,- nessuno può guadagnare.

Né in serenità (nel promulgare leggi), né in efficienza ed equilibrio (nell’applicarle). Il governo Renzi non è immune dagli avvisi di garanzia e quando li ha visti svolazzare ha replicato in modo stizzito. Ma Davigo, detto Piercavillo ai tempi di Tangentopoli per la virtù di «saper leggere nelle pieghe del codice a vantaggio del procedimento» (dal libro di Gloria Bardi «Giustizia e impunità»), sembra rimasto ai tempi del tintinnio di manette. Uomo diretto, il presidente dell’Associazione nazionale magistrati (nominato una settimana fa e già recordman di esternazioni) sostiene che la presunzione di innocenza «è un fatto interno al processo e non c’entra nulla con i rapporti sociali e politici».

Quindi basterebbe un avviso di garanzia per mandare a casa un politico. E i tre gradi di giudizio? E il garantismo come segno di civiltà? Trattasi forse di bizantinismi. È scontato che il politico ladro vada allontanato, ma dopo il processo (almeno il primo, in forma cautelativa) e non prima. Anche perché la storia ci insegna che non sono poche le persone alle quali la giustizia, alla fine del percorso, avrebbe dovuto chiedere scusa. Vorremmo ricordare che a un anno dalla riforma sulla responsabilità civile dei magistrati, i ricorsi ammessi per colpa grave sono passati da 16 (la media ai tempi della legge Vassalli) a 51. Forse è meglio che ciascuno guardi in casa propria per il bene della collettività. Le toghe riconosciute grandi hanno due totem dai tempi di Ugo Betti: sentenze e silenzio.

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