Quel «pin» senz’anima

«Là dentro c’è la vita di mio figlio, ma la Apple non vuole mostrarmela». Là dentro è la scatola nera dello smartphone, l’oggetto che custodisce risate, pianti, ricordi, pensieri, fotografie di un ragazzo cosiddetto «nativo digitale». È la bussola della modernità, un arido telefonino che diventa compagno di vita e custodisce segreti per sempre.

Eppure un papà che ha perso il figlio per colpa di una malattia micidiale vorrebbe accedervi, aprire quello scrigno e rivedere quel ragazzo muoversi, pensare, elencare i sogni e i desideri, ammettere le paure. Insomma, risentire battere il suo cuore per un attimo, anche solo attraverso il freddo parallelepipedo ormai inutile. Perché lui, papà Leonardo di Foligno, non conosce il pin. «L’iPhone 6 è nella cameretta di Dama e non posso accenderlo - spiega sconsolato -. Ho chiesto all’Apple Store, ho spedito una lettera a Cupertino. Mi hanno fatto le condoglianze, ma mi hanno detto no. Capisco la privacy, ma lo trovo disumano».

Leonardo non vuole arrendersi, ma guarda con preoccupazione a ciò che sta accadendo in questi giorni: se Tim Cook nega l’autorizzazione all’Fbi di accedere allo smartphone di uno dei terroristi della strage di San Bernardino, figuriamoci a lui. No davanti alla sicurezza nazionale, no davanti a un padre che chiede consolazione.

E se dentro un telefonino ci fosse il codice per disinnescare una bomba posizionata in una stazione del metrò, Apple che farebbe? Non lo sappiamo. Abbiamo solo il sospetto che il mondo delle password, dei credits e dei pin ci abbia regalato molte comodità e ci stia togliendo qualcosa di ancora più prezioso: l’umanità.

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