Seduti sul debito

Ce l’hanno detto in tutte le lingue: «I rischi per l’Italia derivano dal debito troppo alto». Quel parametro fuori controllo (136% del pil) influenza tutti gli altri, toglie credibilità all’azione di governo, mette le banche sull’altalena anche se stanno meglio, per esempio, di alcune francesi e tedesche. E in definitiva impedisce al Paese di guardare al futuro con maggiore serenità.

Anche noi, nel nostro piccolo, l’abbiamo urlato con ogni modulazione di frequenza. Speravamo che il governo Renzi fosse un po’ meno ingessato nel limare il moloch-spesa e nel limitare la bulimia pubblica. L’hanno chiamata spending review, ma non sono stati capaci di attuarla. O almeno non lo hanno fatto con sufficiente determinazione per impedire che il debito continuasse implacabilmente a salire. Nonostante i proclami, nonostante i commissari, nonostante le forbici, ecco che siamo al punto di partenza. Con quella zavorra di oltre duemiladuecento miliardi succede una cosa molto semplice (parola della Commissione europea): «Il pesante debito pubblico resta la principale fonte di vulnerabilità dell’economia italiana perché limita la capacità del Paese di rispondere agli shock economici e lo lascia esposto al rialzo dei tassi di interesse dei titoli di Stato».

Detto questo c’è poco da aggiungere. È chiaro che siamo ancora sulla prua con il vento in faccia. E basta uno starnuto a Pechino per vedere i titoli di Borsa dondolare. Renzi può concentrare gli sforzi dove meglio crede, ma se non si convincerà ad affrontare la montagna del debito, prima o poi avrà gli stessi problemi (di poltrona) dei suoi predecessori.

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