Stecca d’orchestra

La musica è finita, ma l’ultima nota si allunga sull’Opera di Roma con lo stridore di un’unghia sul vetro. È il secondo atto dell’affaire Riccardo Muti, il numero uno dei direttori d’orchestra italiani costretto a togliere il disturbo da un ambiente capriccioso e grottesco, più simile al film di Fellini «Prova d’orchestra» che a un solenne luogo di cultura.

Alla fine il sindaco Marino ha preso una decisione da grancassa: ha licenziato tutti, orchestrali e coristi, totale 180 persone, pensando con questo gesto eclatante di fare pulizia in un ambiente di ragnatele e incrostazioni, fra rivendicazioni fuori dal tempo e veti incrociati che di fatto paralizzavano il lavoro dell’ente musicale.

Muti aveva sopportato di tutto: rappresentanze sindacali in camerino al termine di un’opera per protestare contro i risparmi, il rifiuto con certificati medici di affrontare una tournée in Giappone, scioperi selvaggi durante le prove.

E non stiamo parlando di lavoratori disagiati, ma di dipendenti tutelatissimi, 28 ore settimanali di lavoro, indennità per i coristi quando dondolano la testa mentre cantano, indennità per i ballerini che devono muoversi su un palco inclinato, indennità per suonare all’aperto e via steccando. Il risparmio per l’Opera, che si affiderà a professionisti esterni, è di 3,4 milioni di euro.

Ai Cobas del clarinetto non restano che due strade: creare una cooperativa e mettersi sul mercato con accordi ben diversi da quelli «fra due guanciali» o far causa in massa e affidarsi a un giudice duro d’orecchi.

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