Terremoti in aula

C’è un giudice a L’Aquila. Lunedì sei dei sette esperti della commissione Grandi rischi, condannati in primo grado a sei anni di carcere per non avere previsto il devastante terremoto del 2009, sono stati assolti in appello.

Il settimo ha avuto una forte sconto di pena. Omicidio colposo plurimo e lesioni personali: questo era il capo d’imputazione smontato dalla Corte, come troppo spesso accade in Italia negli ultimi tempi, a conferma che una seria riforma della Giustizia non sia soltanto auspicabile, ma urgente. Ciò che per il giudice di primo grado è bianco, per quello d’appello è nero. Senza sfumature, come è capitato la settimana scorsa per il caso Cucchi.

Nel frattempo sei persone si sono sentite per due anni il peso di 309 morti sulle spalle per non essere state capaci di vaticinare le 256 scosse in pochi giorni. Quel processo, che aveva richiamato l’attenzione del mondo, sembrava un azzardo già allora, tanto che il New York Times aveva scritto: «Sette scienziati imputati, sette condannati. Come ai tempi di Galileo».

Non avevano saputo dare l’allarme a gran voce pur essendosi riuniti 5 giorni prima della scossa più devastante; il giudice ha detto che non basta per essere dei criminali.

In effetti dopo l’uragano Katrina, dopo il terremoto di Istanbul, dopo l’onda anomala e il disastro nucleare di Fukushima numerosi esperti si dimisero per la sottovalutazione degli eventi, ma nessuno fu processato.

Noi siamo un Paese speciale. Uno degli assolti, Enzo Boschi, nel 1985 aveva previsto un sisma in Garfagnana che non si è mai verificato. Ed era stato indagato per procurato allarme.

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