Uguali

Hanno resistito 24 ore, poi si sono presi a schiaffi. Un avviso di garanzia stressa di suo, figuriamoci se a riceverlo è il rappresentante di un movimento (Cinquestelle) che fa dell’estetica della legalità l’unico programma di governo del territorio.

È accaduto quando il sindaco di Parma Pizzarotti si è ritrovato indagato esattamente come il collega di partito Nogarin (Livorno), tutti invitati a sedersi allo stesso tavolo - e questo è imbarazzante - con il sindaco di Lodi (Pd), quello di Cortina (centrodestra) e la lunga schiera dei parlamentari per i quali Beppe Grillo ha sempre chiesto preventiva decapitazione morale.

Consapevole che la faccenda è delicata e una città come Parma è importante, il direttorio che guida il movimento ha fatto buon viso a cattiva sorte per 24 ore, poi ha scaricato Pizzarotti, colpevole come ha detto Di Maio «di avere tenuto nascosto per due mesi l’avviso di garanzia e di non aver mandato la documentazione». Il sindaco ha replicato con vigore: «Non invio documenti a una mail anonima. Volete guidare l’Italia con l’anonimato?».

Mentre l’elettore anonimo si chiede come mai Pizzarotti sia stato immolato e Nogarin salvato (pollice retto, pollice verso come al Colosseo ai tempi di Commodo), resta in piedi il tema-chiave, vale a dire la complessità della macchina amministrativa che non salva dalle inchieste neppure chi dovrebbe essere in buona fede. Poiché la realtà è questa e anche i grillini le sono finiti addosso fracassandosi come accade dopo l’impatto con un paracarro, non sarebbe meglio - prima di condannare qualcuno - aspettare almeno una sentenza?

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