Vite parallele

Hanno giocato la stessa partita, ora giocano gli stessi tempi supplementari. Johan Cruijff ha un tumore a un polmone, Gerd Müller è malato di Alzheimer. Il genio olandese non correrà più nel vento, il panzer tedesco ha cominciato a dimenticare i gol che lo hanno reso leggenda, in quegli anni Settanta traboccanti di ideologia e di basette.

Sono quasi coetanei, hanno giocato la stessa partita (Germania-Olanda, finale mondiale 1974), ma sono stati due campioni agli antipodi.

Simbolo di fantasia e libertà, Cruijff era il leader dell’Olanda ribelle e perfetta che rivoluzionò il pallone e diede le ali a una generazione di ragazzi desiderosi di evadere dalla cappa degli anni di piombo. Venti sigarette al giorno (le paga adesso), le fidanzate in ritiro, il pressing e il fuorigioco, il calcio totale un po’ hippie oltre il quale c’erano un falò sulla spiaggia e qualcuno che intonava «Imagine» con la chitarra. Gerd Müller, col baricentro di un bulldog e le gambe a tronco da contadino di Westfalia, era la restaurazione. Ordinario, invisibile, aveva l’istinto del rapace e la capacità degli sciamani di prevedere il futuro: sapeva sempre dove sarebbe andata la palla e di conseguenza il mondo. Cruijff doveva dribblarne sei, a lui bastava un tocco. Cruijff: «In allenamento non cercavo di fare gol, troppo facile, ma di prendere i pali, più difficile». Müller: «Dicevano che ero un sollevatore di pesi, in effetti ho alzato molte coppe». Non se le rammenta quasi più e se incontrasse Cruijff gli offrirebbe una sigaretta. Ora guardano i loro trofei con occhio assente e faticano a capire cosa la gente voglia ancora da loro. Come Syd Barrett, che un giorno spense la luce interiore e si dimenticò di avere inventato i Pink Floyd. Il destino è malinconia.

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