«Essere è un filo colorato»
Luisa, sarta con tele e cotone

Prima lo spago, poi una rete sottile che diventa immagine. Un’insegnante e i «tessuti d’arte»: «Spiegano l’impermanenza delle cose».

Un filo dopo l’altro. Stesi delicatamente e senza fretta. Fili liberi che danzano sulla tela, leggeri. Fili di cotone che diventano forme, figure, tessuto d’arte, mosaici. Come abbia iniziato a raccontarsi attraverso i fili del colore, Maria Luisa Beretta non lo sa. Crede che sia la risposta ad un essere artistico, materico, che l’ha sempre accompagnata. Fin da piccola, quando costruiva castelli da una scatola di cartone e preferiva manipolare la creta, ritagliare e incollare che usare penne e matite. «Ho sempre amato raccontare con le mani - racconta la bergamasca, di Stezzano -. Senza corsi d’arte, senza limiti: la mia è stata una necessità e ho voluto che questo “fare” e “ideare” fosse svincolato dalla didattica, per essere un progetto libero e personale». Lo dice proprio lei che è un’insegnante elementare, docente alla scuola primaria di Verdello: «Ho sperimentato di tutto: dalla guaina bituminosa fino alla sabbia lavorata sulla tela. Poi lo spago, presenza costante delle mie opere. Ma il filo è il giusto racconto».

È l’unione delle cose e un modo per riannodare pensieri: «Per riordinarli, per ripartire da capo» dice. Ci sono i rocchetti, c’è la colla liquida diluita con l’acqua. Ci sono i pennelli e soprattutto le mani: «Mi piace la leggerezza di questi fili, più sottili di un capello, la loro dinamicità: ho iniziato a manipolare il cotone e non ho più smesso».

Nella sua casa di Stezzano, Maria Luisa si muove silenziosa, a piedi scalzi. Ha le mani magre, le dita sottili, lunghissime. Che giocano con fili che arrivano dalla storica azienda tessile comasca Canclini: «Il caso ha voluto che trovassi sul Web informazioni sulla mostra “Essere tessere”, progetto di Canclini, a Guanzate. Ho subito provato a scrivere all’azienda, ero interessata alle loro esposizioni d’arte: mi hanno invitato nella loro sede e mi hanno mostrato la bellezza dei loro tessuti: sono uscita da quel mondo colorato con decine di rocchetti di filo di cotone non ritorto».

Toni vivaci, intensi. «Non avevo bene idea di cosa farne. Ho iniziato a muoverlo sulla tela, a fare e rifare. Incollavo e scollavo, con l’acqua sulla tela riportavo i fili al loro movimento sinuoso». Cancellando tutto: «Non sono legata all’oggetto, ma all’esperienza che mi dà. Mi basta creare, e il ricordo dell’immagine».

Maria Luisa inizia così da una foglia, che diventa un albero: «Quel soffio di vento improvviso» la prima opera. «Mesi di lavoro tra colla diluita, fili, stuzzicadenti, pennelli e le mie dita» ricorda, senza lasciare più i suoi fili: «Sempre capaci di prestarsi a nuove sperimentazioni: il filo è leggero, volubile. Diventa rigido quando composto e allora una volta l’ho strappato, nell’interezza del suo reticolo incollato, e ho ritrasformato la tela e ritagliato tessere di filo, come in un mosaico». Maria Luisa lavora e stacca il pensiero: «Il lavoro si dipana nel tempo, filo dopo filo, in sintonia con il mio respiro, con i colori». Un po’ come i Mandala, nell’impermanenza del filo sulla tela: «Basta versare un bicchiere d’acqua, e si stacca tutto, non esiste più nulla». Ma resta il ricordo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA