«Io, che ho sposato
un musulmano»

«Ma cos’è successo a Parigi? Mi sa che c’è stato ancora un attentato!» ero al telefono con mia madre venerdì sera, quando hanno cominciato a trapelare le prime notizie sull’attentato che ha coinvolto nuovamente la capitale francese.

Nei due giorni seguenti la mia home di Facebook si è riempita di notizie di ogni tipo, commenti di ogni genere, che mi hanno aiutato anche a sfoltire un po’ la mia lista di «amicizie» virtuali. In questi giorni di isteria collettiva, il web ha dato il peggio di sé: da chi – spesso senza nemmeno averla letta – tirava in ballo la Fallaci indicandola come profetica, a chi si augurava l’espulsione in massa dei musulmani, quei brutti cattivi che vanno a scuola con i nostri figli e fanno apposta matrimoni misti per invaderci, a chi faceva propria l’equazione musulmano = terrorista; senza contare che ormai sembrava essere diventata una gara a chi si indignava di più e per che popolo, «però ai morti siriani, ai palestinesi, ai libanesi non pensate e non parlate mai, mentre se le cose succedono in Francia è subito una tragedia» e chi più ne ha più ne metta. Come se solo attraverso i link che una persona pubblica si possa capire la sua posizione, come se il mettere o meno la bandiera di un tale o quell’altro stato in segno di lutto determinasse o meno la sua sensibilità…

Insomma, un’isteria virtuale. Non potevano mancare gli “approfondimenti” proposti dalla televisione italiana, che ho voluto appositamente evitare ma di cui ho letto tramite i social network, dove invece di invitare veri esperti, si trovano politici di determinati schieramenti che sfruttano queste tragedie per guadagnare un po’ di consensi. La sera, quando mio marito – musulmano -, è tornato a casa, l’ho guardato e gli ho detto: «Ma davvero pensi che sia un bene ritornare in Italia?».

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