Se l’integrazione
parte dal razzismo

« Non sposate le mie figlie » ci mostra, ahimé, che siamo tutti un po’ razzisti, ma che per costruire una vera integrazione si può partire anche da lì. Ci sono Rachid, musulmano, David, ebreo, Chao, cinese, e Charles, ivoriano e cattolico: in comune hanno l’amore per quattro belle francesi, le quattro figlie dei coniugi Verneuil, borghesi, gollisti e cattolici.

Sembra l’inizio di una barzelletta la situazione messa in campo da « Non sposate le mie figlie», commedia francese diretta da Philippe de Chauveron, da una decina di giorni al secondo posto in classifica tra i film più visti in Italia (con oltre 2 milioni e trecentomila euro d’incasso), vista in Francia da 12 milioni di persone.

Molto eloquente il titolo originale del film, che i distributori nostrani, come capita spesso, hanno deciso di cambiare: «Qu’est-ce qu’on a fait au Bon Dieu?». «Che cosa abbiamo fatto al buon Dio?» si chiedono infatti Claude e Marie Verneuil a un certo punto, quando ormai è chiaro che non avranno neppure un genero francese. La figlia minore Laure era la loro ultima speranza: e ci contavano quando ha annunciato che il futuro sposo si chiamava Charles (come De Gaulle) ed era cattolico. Salvo scoprire che….Lui è di colore e la sua famiglia è di Abidjian, in Costa d’Avorio.

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