C’è sempre una strada
per farla franca

La vergogna è lì. Lungo la Francesca, scendendo verso Ghisalba. Dietro le erbacce, ormai alte, svettano gli scivoli, che finiscono in vasche vuote. Nessun bambino, quest’estate, a schiamazzare, nessun bagnante a cercare refrigerio qui. Le piscine di Cologno al Serio sono chiuse da due anni. L’anniversario è caduto pochi giorni fa. Era infatti il 10 ottobre 2013 quando l’Enel ha sospeso la fornitura per morosità. Lo stop delle attività doveva essere provvisorio. Invece non sono più ripartite. Il primo segnale. Poi sono state staccate le piastrelle e i lavori incompiuti sono rimasti tali.

La questione è finita su «Report» e al ministero delle Finanze, con un’interrogazione del deputato Pd Antonio Misiani. Ma tutto è ancora in stand by. Questo scempio costa ai cittadini di Cologno 9 milioni di euro, il mutuo che il Comune dovrà pagare all’istituto per il Credito sportivo nei prossimi 40 anni, vincolando, di fatto, il futuro del paese. La zavorra è finita nel Bilancio di previsione dell’ente approvato il luglio scorso, nel tentativo di chiudere una brutta storia fatta di un project financing (cioè un’operazione che i privati avrebbero dovuto realizzare e gestire) naufragato, tra fallimenti e debiti. Si dirà di un progetto nato sotto una cattiva stella, ma la sorte c’entra fino a un certo punto. Di mezzo ci sono anche scelte amministrative quantomeno disinvolte, iniziate sotto l’era (Roberto) Legramanti e proseguite in quella (Claudio) Sesani, l’attuale sindaco. Sempre di Lega si tratta, al comando del fosso colognese da vent’anni. La vicenda, nota ma sempre dibattuta entro i confini municipali, ora però è diventata di portata provinciale e lombarda. Ha fatto scalpore, in questi giorni, la dote della Giunta Maroni. Attraverso il meccanismo del Patto verticale ha infatti liberato per il Comune di Cologno spazi finanziari di manovra di 9 milioni di euro, guarda caso proprio la cifra del mutuo per salvare le piscine ed evitare il default del municipio. Un’anomalia che non è passata inosservata, visto che la quota corrisponde a un terzo dell’intero plafond assegnato alla Bergamasca (26 milioni di euro in tutto) e pure a una fetta importante di quello lombardo (127 milioni di euro). Alla faccia degli altri enti locali virtuosi, a cui il «premio» regionale sarebbe destinato, in quanto tra i criteri per la distribuzione c’è proprio un indice di virtuosità.

Cologno ha beneficiato di un nuovo parametro che parla di «una misura prioritaria per i Comuni che devono provvedere a pagamenti in base a sentenze definitive o escussioni di fidejiussioni». Una misura messa in dubbio da qualcuno (secondo cui sarebbe stata costruita ad arte per aiutare gli «amici», dato lo stesso colore politico che lega le maggioranze del Pirellone e del Comune della Bassa, quando in passato si era sempre pronti a gridare allo scandalo di fronte ai «Salva Roma o i «Salva Catania»), perfettamente legittima per altri. È indubbio che così potranno (forse) tirare un sospiro di sollievo i cittadini di Cologno, sui quali rischiava di pesare (con nuove tasse o sanzioni) il debito. Ma cosa devono dire tutti gli altri, che dovranno rinunciare a opere e pagamenti? Siamo forse fessi noi - è il pensiero trasversale agli amministratori - a fare bene i conti? Gli «Squattrinati organizzati» - sindaci e assessori al Bilancio che su Facebook si fanno forza per far tornare entrate (sempre meno) e spese (sempre di più) - ne sanno qualcosa. Di base c’è un problema di equità e di responsabilità. Consapevoli che amministrare la res pubblica è un compito difficile e delicato, non può però passare la logica che chi sbaglia non paga proprio mai o ha sempre una scorciatoia per farla franca.

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