Femminicidio
e maschi sconfitti

La disperata prepotenza del maschio. Si potrebbe dare questo titolo all’impressionante sequenza di violenze e di delitti all’interno di rapporti di coppia che hanno segnato la cronaca di queste ultime settimane. Tutte dinamiche a senso unico in cui il «lui» della coppia arriva a compiere azioni terribili, a volte di una brutalità inimmaginabile nei confronti di «lei». Ci sono casi in cui il finale drammatico era un po’ scritto, ma ci sono anche altri casi in cui la situazione precipita in modo del tutto imprevedibile. Non siamo di fronte alla semplice aggressività del maschio che non riesce a contenere il desiderio e arriva a violare, violentandolo, il corpo della donna.

Non siamo di fronte alla bestialità stile mostri del Circeo, per citare uno dei casi più crudeli che la cronaca ricordi. Qui lo scenario è cambiato. Il maschio che abbiamo di fronte è creatura accecata non dall’appetito sessuale, ma dal suo opposto: da un’impotenza. L’impotenza nella costruzione di un rapporto di coppia. Il maschio che arriva alla violenza non più sessuale ma fisicamente distruttiva nei confronti della partner, è un maschio sconfitto che non sa darsi ragione di questa sconfitta. È un maschio che ha fallito in quella che è l’esperienza più importante della vita di una persona: la relazione d’amore che diventa relazione di vita, costruzione di una convivenza e poi di un nucleo sociale, cioè una famiglia. Qual è il punto su cui questo progetto si rompe? Secondo Massimo Recalcati, psicoanalista e osservatore attento mai banale di queste dinamiche, il punto è nel rifiuto del maschio di accettare l’«alterità» femminile. Le donne, aveva scritto tempo fa Recalcati, «possono essere aggredite, offese, maltrattate, uccise proprio perché sfuggono ad ogni tentativo di possesso, perché coincidono con la libertà. L’uomo può rispondere a questa coincidenza con l’arroganza razzista e insopportabile della sopraffazione provando in tutti i modi a cancellarla».

Dunque quel che sarebbe venuta a mancare e che spiega perché proprio oggi stiamo assistendo a questa impressionante escalation di delitti, riusciti, tentati o indotti, sarebbe questa «educazione alla legge». Se si passa dalle categorie della psicoanalisi a quelle più semplici di carattere sociologico, è il venire meno della coscienza di cosa sia un rapporto di coppia pieno e vissuto. Oggi prevale il richiamo a vivere il rapporto di coppia in modo esclusivo, gelosamente chiuso in se stesso, quasi claustrofobico. Ovviamente la cultura dominante, quella che demonizza regolarmente la famiglia, quella che riduce la relazione alla dimensione del piacere, ha una responsabilità non secondaria in quello che sta accadendo.

Il risultato è che il rapporto di coppia non viene più visto come l’inizio di una costruzione comune (che ci siano i figli o che non ci siano), perché si ha timore a prendere impegni con l’altro, come se l’impegno fosse un limite alla propria libertà. Così quando le cose non funzionano, l’istinto è quello di prendere l’altro in ostaggio. Di farne un proprio possesso, di precludere la sua libertà. La libertà ad esempio di voler provare a costruire la relazione con un altro, com’è accaduto nel caso di Sara, la ragazza uccisa e bruciata a Roma. In dinamiche come questa la forza è tutta dalla parte del maschio. È il maschio che per natura dovrebbe essere il garante della legge, che invece la viola in modo inconcepibile e brutale.

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