Da bambino fino a giornalista sportivo
Con Baracchi tre ricordi indelebili

Tre gli indelebili ricordi personali sul grande Mino. Due legati al Torfeo Baracchi, sua magica invenzione di fama internazionale; l'altro alla sua breve ma carismatica parentesi al timone dell' Atalanta.

Tre gli indelebili ricordi personali sul grande Mino. Due legati al Torfeo Baracchi, sua magica invenzione di fama internazionale; l'altro alla sua breve ma carismatica parentesi al timone dell' Atalanta.

Procediamo con ordine. Autunno 1955, appena compiuto 7 anni, accompagnato dal fratello maggiore Alberto, mi trovai nel tardo pomeriggio di un sabato insieme ad una folla strabocchevole fuori dalla tradizionale sede della Ciclistica Baracchi, in largo Belotti, sopra il cinema teatro Nuovo, a Bergamo. A richiamare tanta gente la punzonatura della già conclamata corsa a coppie a cronometro con partenza dalla città e arrivo nel fantasmagorico velodromo milanese del Vigorelli. Per far sì che potessi anche solo scorgere le sagome di Coppi, Anquetil, Darrigade, Brankart e gli altri «assi» che a passo spedito stavano raggiungendo l' ingresso degli uffici, il fratello mi mise sulle spalle. In quei frangenti passò proprio Mino Baracchi che, leggendomi l'immaginabile espressione degli occhi, fece cenno a mio fratello di seguirlo in modo spedito. Pochi secondi dopo, e incredulo, eccomi fianco a fianco dei campioni, visti, o meglio, divorati unicamente attraverso le foto di giornali e le poche riviste specializzate esistenti. Mi ritenni gigantemente fortunato e dovetti superarmi, l'indomani a scuola, nel far credere ai miei compagni di classe l'accaduto.

Trascorsero quasi 3 lustri per imbattermi di nuovo con il mondo delle due ruote, ancora targato Mino Baracchi. Era il 1968, da un paio di mesi collaboratore de L'Eco di Bergamo. Il responsabile di quei tempi della redazione sportiva, Paolo Arzano, mi incluse con immensa sorpresa nel ristretto elenco degli invitati a cena da Baracchi, alla «Marianna» in Colle Aperto, per la conferenza stampa della gara di quella edizione. Tra i commensali, pensate un po', Anquetil in rappresentanza dei corridori e giornalisti del calibro di Gianni Brera, Gian Paolo Ormezzano, Gualtiero Zanetti, Nino Oppio, Maurizio Mosca e i nostri, oltre ad Arzano, Nino Filippini Fantoni, Elio Corbani e Gianbattista Radici. Anquetil, quell'anno, era accoppiato a Felice Gimondi, risultati, poi, vincenti sui tedeschi Ritter e Springel. Non c'era, però, Gimondi dato a casa per preparare a puntino, da atleta, la corsa: l'esatto contrario dell'indimenticabile Jacques che si intrattenne sino a notte fonda senza rifiutare gli abbondanti brindisi a base di champagne delle migliori marche. Mì impressionò, anche in quella occasione, il savoir faire di Mino nello specifico ruolo del padrone di casa e del profondo esperto della disciplina delle due ruote.

Infine il Baracchi presidente dell' Atalanta. Ebbi un altro contatto gomito-gomito una mattina che, sempre per «L'Eco», assistevo all'allenamento dei nerazzurri allo stadio di viale Giulio Cesare. Sedevo con il presidente su una panchina a ridosso del rettangolo di gioco. Pure in quella circostanza la proverbiale disponibilità di Baracchi ebbe a ripetersi: senza il minimo indugio mi concesse un' improvvisata intervista procurandomi una grande gioia oltre che una botta d'orgoglio che lascio a voi immaginare.

Arturo Zambaldo

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