Morosini, parla il cardiologo Fedele:
malattia molto difficile da diagnosticare

La cardiomiopatia aritmiogena che ha portato alla morte il calciatore Piermario Morosini lo scorso 14 aprile «era probabilmente molto difficile da diagnosticare» anche dato il fatto, come si sottolinea nella perizia della procura di Pescara, che gli «effetti della malformazione erano in fase iniziale».

La cardiomiopatia aritmiogena che ha portato alla morte il calciatore Piermario Morosini lo scorso 14 aprile «era probabilmente molto difficile da diagnosticare» anche dato il fatto, come si sottolinea nella perizia della procura di Pescara, che gli «effetti della malformazione erano in fase iniziale».

Ad affermarlo è il cardiologo dell'Università La Sapienza e presidente della Fondazione italiana cuore Francesco Fedele. Tuttavia, aggiunge l'esperto, «credo che a fronte della patologia da cui era affetto, Morosini avrebbe avuto probabilmente delle chances maggiori di salvarsi se dopo il malore fosse stato utilizzato il defibrillatore».

«Ovviamente gli atleti ad alto livello - sottolinea il cardiologo - sono molto monitorati, ma in alcuni casi è difficile poter evidenziare particolari patologie. Nel caso della cardiomiopatia aritmiogena, ad esempio, anche un ecocardiogramma non avrebbe potuto metterla in evidenza».

Patologie come questa infatti, precisa Fedele, «possono non dare segnali elettrocardiografici». Diverso il caso, sottolinea, «in cui ci fosse una familiarità con questa o altre patologie: in questa situazione, infatti, sarebbe opportuno procedere ad esami più approfonditi come risonanza e test genetici. Tali esami non possono ovviamente essere estesi o consigliati a tutti gli atleti in generale o in mancanza di una particolare indicazione».

Ad ogni modo, conclude Fedele, «ciò che si dovrebbe prevedere è il 'nulla ostà obbligatorio del cardiologo per gli sportivi, dal momento che il medico sportivo non può coprire tutti gli ambiti di specializzazione medica».

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