Inzaghi punzecchia l'Atalanta:
potevo tornare? Chiedete al club

Pippooo: ma dov'è Pippo?», urlano al comunale di Curno, col naso schiacciato sulla recinzione, le macchine fotografiche spianate e l'ugola in fiamme per l'attesa. «Ah, eccolo, guardalo». Eccolo mister Pippo Inzaghi.

Pippooo: ma dov'è Pippo?», urlano al comunale di Curno, col naso schiacciato sulla recinzione, le macchine fotografiche spianate e l'ugola in fiamme per l'attesa. «Ah, eccolo, guardalo». Eccolo mister Pippo Inzaghi. È accanto al palo, a colloquio con Filippo Galli, mentre con un occhio e mezzo guarda i suoi Allievi del Milan fare il (sur)riscaldamento prima dell'amichevole con gli Allievi dell'AlbinoLeffe domenica 26 agosto.

Non poteva che essere lì, vicino all'area di rigore, scherza la gente che è arrivata per lui, un'ora prima della gara e ha cominciato un lungo assedio. I più fortunati sono i ragazzini che l'hanno «preso» al volo, foto e autografo. Le più sfortunate sono Maurizia, Beatrice, mamma Patrizia e la figlia Sonia, quattro amiche appiccicate alle porta d'accesso agli spogliatoi e in attesa di un segno, un cenno, il via libera al sogno: foto-ricordo e autografo di mister SuperPippo.

«Siamo qui da un'ora e non c'è niente da fare, e dire che sono andata anche a Formentera, due settimane, ma Pippo non l'ho beccato», dice Maurizia e guarda Beatrice che per Pippo è arrivata da Milano. «Ma perché ha smesso? Pippo avrebbe dovuto giocare ancora un anno, è il gol». Forse lo pensa anche quell'oceanica nostalgia canaglia che ha preso posto in tribuna riempiendola fino all'ultima fila.

C'è gente in piedi, c'è gente appesa alla rete, c'è gente che ha occhi solo per lui. Che farà Pippo in panchina? Come esulterà al gol dei suoi apprendisti? E il modulo, la tattica? Sarà zemaniano, lippiano, ancelottiano, mondonicano, magari allegriano (scherziamo)? Non è la sua prima partita da mister. I suoi Allievi ne hanno già giocato un paio, ma Bergamo che per un po' ha ripensato al Pippo bomber il Pippo mister non l'ha ancora visto e ora lo accompagna in panchina.

Lui arriva, schiera i suoi ragazzi col «rombo» formato Ancelotti e resta in piedi, braccia conserte, immobile. La maglia del Milan numero 9, la sua, se la porta a spasso un ragazzino esile, rapido, che gioca sulla linea dei difensori. Si chiama Anelli e sembrerebbe il giovin Pippo non fosse che si mangia un gol clamoroso e peggio di lui fa De Santis. Il Milan sperpera, l'AlbinoLeffe tiene.

Pippo allarga le braccia e inarca la schiena, una, due, tre volte, alla quarta si volta verso la panchina e comincia a gesticolare. «Sta a vedere che adesso Pippo s'infila la maglietta e ci pensa lui», dice la tribuna all'intervallo. Ma poi nella ripresa Anelli infila l'1-0 e la metamorfosi di Pippo si compie: nessuna corsa da «posseduto del gol», solo un applauso composto e professorale e un sorriso tenue.

È il tempo della saggezza ora, l'uomo che faceva innamorare di sé il gol non ha rimpianti. «Non ci penso più, ora è un'altra vita», dice alla fine mentre guarda la folla che lo aspetta fuori dal cancello degli spogliatoi. «Io come Ancelotti? Lui è stato l'allenatore più importante, quello che mi ha segnato di più ma che allenatore sarò lo devo ancora scoprire». Perciò dice l'incredibile. «I gol sbagliati? Conta creare le occasioni e non subire gol», che detto da lui pensi sia uno scherzo. Poi guarda in faccia il suo passato.

«Avrei potuto tornare a Bergamo? Chiedetelo all'Atalanta com'è andata, ma è ormai è chiuso. Pazzini al Milan farà benissimo, può essere il mio erede, Denis si confermerà e con lui l'Atalanta, ne sono certo». Poi esce e una folla lo blocca, lo inghiotte, lo sommerge. Pippo ora siede in panchina, ma sembra che non abbia mai smesso di fare gol.

Simone Pesce

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