Marino: «Mai chiesto Donadel
La nostra rosa è ben articolata»

Pierpaolo Marino è a casa a Udine, il giorno dopo il fatidico 2 settembre. Alle 23 di martedì s'è chiuso un mercato, fatto più di milioni di parole che di milioni di euro. «Mai visto un mercato così. A parte poche squadre, nessuno ha un euro da spendere».

Pierpaolo Marino è a casa a Udine, il giorno dopo il fatidico 2 settembre. Alle 23 di martedì s'è chiuso un interminabile mercato, fatto più di milioni di parole che di milioni di euro. «Mai visto un mercato così. A parte poche squadre, nessuno ha un euro da spendere. Per non parlare della Spagna, dove metà delle società sono in amministrazione controllata».

Direttore, la Spagna è lontana, mentre a noi interessa cos'è successo martedì a Milano. Stavate per prendere Donadel o no?
«No, non ci è stato nemmeno offerto. Donadel l'abbiamo trattato un paio d'anni fa, ma poi abbiamo avuto delle perplessità. Il Napoli sa come la pensiamo. Ci hanno offerto Uvini, ma non c'interessava».

Ma qualcuno v'interessava?
«Martedì non siamo andati a Milano per comprare. Le idee erano chiare da qualche settimana. La rosa era ed è ben articolata, abbiamo fiducia in tutti i giocatori e in particolare nei giovani, che Colantuono sta dimostrando di saper inserire».

Ma Nica è finito in panchina due volte su due...
«Certo: era affaticato. E comunque ci sta che un giocatore del 1993 sia inserito per gradi, in modo protettivo».

Ma non avrebbe preso nemmeno Peluso?
«Ma dica lei qual è quella società che riscatta un giocatore a giugno per quasi 5 milioni e a settembre lo dà in prestito alla stessa società dalla quale l'ha riscattato. Un dirigente che facesse una cosa così sarebbe da internare. Peluso certo che l'avrei considerata come proposta, ma ha 30 anni, non 18. Se la Juve lo dà in prestito poi quando se lo riprende, quando ne ha 34? È un'operazione che non è mai esistita».

Ma la gente voleva il colpo finale, e voi l'avete lasciata a secco...
«Ma sa, il calciomercato è un po' la fiera dei sogni, e ognuno vorrebbe vedere facce nuove. Ma le squadre si fanno con cervello e strategia. Abbiamo un'intelaiatura che ci ha regalato due ottime salvezze nonostante le penalizzaizoni, abbiamo una squadra che miscela esperienza e gioventù. Noi siamo fiduciosi».

Torniamo al finale di mercato: la Fiorentina voleva Consigli?
«No. La Fiorentina non ha mai manifestato interesse. E vista la bravura di Consigli mi lasci dire meno male...».

Non avete venduto nessun «big». Ma sono proprio tutti così contenti di essere rimasti?
«Guardi: Livaja quando è arrivato ha detto che Zingonia è meglio di Appiano. Se non li chiedono Milan o Juventus, dove vanno a star meglio di qui?».

D'accordo, però si sa come sono i giocatori...
«Guardi, su quelli strategici a inizio mercato è intervenuto Percassi. Ha detto quel che pensava e poi non ha ascoltato sirene. Il resto lo hanno fatto i giocatori, dimostrando di amare Bergamo e l'Atalanta. Mi riferisco anche ad alcuni stranieri...».

Tipo Denis, che a inizio estate disse che doveva parlare con la società?
«Denis, ma anche Carmona, o Moralez che ha avuto offerte di ingaggio triple rispetto all'attuale. Poi sa, le dichiarazioni non contano: contano i fatti. E i fatti diranno che sono tutti felici di restare a difendere la maglia».

Si chiedeva da più parti una riserva di Migliaccio: non è arrivata nemmeno quella.
«È una scelta razionale. Tutti vorrebbero 22 giocatori di livello, ma qui ce ne possiamo permettere 14 o 15, poi bisogna avere gente che guadagni meno».

Quindi avete tenuto Kone e Gagliardini perché guadagnano poco? Speriamo di no...
«No. Perché abbiamo fiducia totale in quel che possono dare e perché non volevamo mettere in squadra un altro trentenne che guadagna cifre da fine carriera. E poi c'è Cazzola che non va dimenticato: sta recuperando alla grande. Agli scettici dico che con lui in campo abbiamo vinto a Napoli e Milano...».

E Brivio? Non lo volevate piazzare?
«È un investimento Brivio, mezza serie A lo voleva in prestito, ma noi abbiamo fiducia nelle sue potenzialità. Uno dei più innamorati di lui, quando lo abbiamo preso, era Colantuono. Se lo vedrà giocare come a Lecce, vedrete che tornerà in campo».

Però vi è rimasto sul gobbone Scaloni. Con tanto di contrattino...
«Non c'è un caso Scaloni, e non guadagna cifre da capogiro. È rimasto perché in B non è voluto scendere, e le società spagnole che lo volevano sono in amministrazione controllata e quindi impossibilitate. Vedremo di lavorare per gennaio, anche se Turchia e paesi arabi non hanno ancora chiuso il mercato».

Altro tormentone: Ardemagni. A inizio estate lei disse: «Su di lui vogliamo monetizzare». Alla fine perché darlo in prestito, per di più a una concorrente?
«Guardi, siamo stati vicinissimi a concludere con la Russia, ma è saltato tutto al momento del fax decisivo. Per noi sarebbe stata un'operazione da 4 milioni, soldi che in Italia non ci sono».

Nemmeno il Palermo, che ne ha spesi 3 per Belotti?
«No. E poi al Palermo Ardemagni non avrebbe avuto garanzie di giocare da titolare inamovibile, come per noi dev'essere».

Così però avete rinforzato una concorrente...
«Me lo auguro, vorrà dire che un nostro patrimonio farà bene, che magari il Chievo lo riscatterà e avremo valorizzato un giocatore. Mi creda, è un'operazione corretta sia patrimonialmente che tecnicamente».

Anche quella di dare Barlocco alla Juventus? Sa che i bergamaschi i loro giovani vogliono sempre vederli almeno esordire prima di darli via...
«Guardi, è un'operazione strategica importante fatta con la prima società italiana. Prima avevamo un solo giocatore di ottime prospettive, adesso concorriamo a controllarne tre, sapendo che Barlocco potrà sempre tornare qui per fare esperienze di un certo livello. Adesso cresce nella Primavera della Juve, non in quella del Canicattì».

E Gouano?
«È un nazionale francese, così come è un nazionale Ceria. Sono giocatori di prospettiva, mica tromboni».

Una curiosità: com'è che li manda tutti a giocare attorno a Napoli?
«Perché sfrutto un certo tipo di contatti, lì c'è gente che magari prende un giocatore da me perché si fida anche a scatola chiusa. Come l'Avellino con Zappacosta, che adesso è in Under 21».

Direttore, siamo in fondo. A inizio estate mise la sua parola su Bonaventura, e Bonaventura è rimasto. C'è mai stato un giorno in cui ha temuto di doversi rimangiare quella parola?
«No. Tante società erano interessate a Bonaventura, ma non con la capacità di spesa necessaria per prenderlo. Siamo felicissimi di averlo con noi ancora per un anno, e magari di alzare l'asticella l'anno prossimo. Noi i giovani ce li dobbiamo godere in questo senso: farli crescere dal vivaio. E perché un Bonaventura maturo non potremo mai comprarlo».

Eppure ormai i tifosi sembrano dare per scontato che questi big non siano partiti. Se invece aveste confermato Bonaventura alle 23 di martedì si sarebbero levati gli applausi, e magari anche gli abbonamenti...
«Sugli abbonamenti ho già detto la mia idea: un poco d'assuefazione dopo due anni splendidi, la crisi economica e la concorrenza della tv, che si combatte solo con uno stadio comodo e confortevole o con prezzi che forse sono un tantino da correggere».

Avete sbagliato la politica dei prezzi, direttore?
«Non decido io se vanno abbassati, c'è una proprietà che di commercio sa molto più di me. Porto solo una mia sensazione».

È difficile far contenti i bergamaschi, vero?
«Ci sono abituato. A Napoli quando ho preso Hamsik e Lavezzi mi misero gli striscioni: "fuori i soldi, fuori i campioni". Adesso magari c'è un poco di scetticismo, ma poi i risultati capovolgono le situazioni. E noi siamo fiduciosi che questa squadra possa fare ottimi risultati».

Roberto Belingheri

© RIPRODUZIONE RISERVATA