Pinotti, addio corse a tappe:
«In Cina mi sono quasi pentito»

Marco Pinotti
Ieri (martedì 15 ottobre, ndr) si è concluso il Tour of Beijing con una tappa che è partita dalla monumentale piazza Tienanmen per poi raggiungere un circuito intorno allo stadio Olimpico. Un percorso affascinante nel cuore di Pechino.

Marco Pinotti
Ieri (martedì 15 ottobre, ndr) si è concluso il Tour of Beijing con una tappa che è partita dalla monumentale piazza Tienanmen per poi raggiungere un circuito intorno allo stadio Olimpico. Un percorso affascinante nel cuore di una città con venti milioni di abitanti.

L'ultima giornata me la sono proprio goduta. Al mattino ho affrontato le code ed i chilometri a piedi per visitare la Città Proibita, quando ancora i miei colleghi riposavano in hotel. Poi in gara sono riuscito ad inserirmi nella fuga di giornata che è stata ripresa a meno di cinque chilometri dal traguardo. Ho chiuso così la mia carriera di corse in gruppo (l'ultima corsa sarà domenica il Gran Premio delle Nazioni a cronometro) in un modo che non poteva essere migliore.

È stata una settimana densa di emozioni. La corsa è stata una piacevole sorpresa di organizzazione ed equilibrio. Al di là della qualità degli hotel e del viaggio in aereo in business class (che certamente fa una certa differenza), i trasferimenti sono stati ridotti a solo due di un'ora e venti minuti su cinque partenze ed arrivi. Il percorso è stato ben disegnato, con due tappe facili, una ondulata e due più impegnative, una delle quali con arrivo in salita.

A essere pignoli, direi che ci sarebbe stata bene anche una cronometro. Non sono mancati significativi passaggi in punti storici come tratti famosi della Grande Muraglia, e la partenza da piazza Tienanmen. Nessuna salita che esigesse rapporti da mountain-bike. Discese anche molto tecniche ma dall'asfalto liscio, di quelli che diventa un piacere lasciar andare i freni.

Praticamente nessuna buca su 800 chilometri, nessun vero pericolo su strade di larghezza normale. Insomma tutti gli ingredienti che un corridore vorrebbe per ogni corsa. Ammetto che queste condizioni, insieme all'ottimo stato di forma con cui mi sono presentato, mi hanno quasi pentire della scelta di concludere la carriera di corridore.

Mi mancheranno certi momenti che si vivono solo in competizione. La sensazione che si ha quando il gruppo pedala in salita ad andatura più che sostenuta, quando sai che sta per esplodere la bagarre, e non aspetti altro perché le gambe girano come vuoi. Oppure la calma di quando osservi dalle retrovie la fila unica di corridori che procede ad alta velocità, e sai che è il momento di risalire posizioni. E poi il momento successivo a uno scatto, quando ti giri e realizzi che dietro di te c'è il vuoto. Soprattutto mi mancherà la cronometro, quell'essere sempre appena sotto al limite ma mai oltre.

Non mi mancheranno invece i finali di corsa con le volate di gruppo, quando il primo che frena in una curva finisce presto tra gli ultimi. Non mi mancheranno i chilometri che precedono passaggi pericolosi e assurdi, come strettoie o inizi di salita, quando tutti vogliono stare davanti e l'unica legge che esiste davvero in gruppo è «morte tua vita mia». Ma la cosa che più conta è che la bellezza dell'andare in bicicletta, scegliendo l'andatura che si vuole, per quanto tempo si vuole, quello potrò sempre scegliere di viverla.

© RIPRODUZIONE RISERVATA