Atalanta, rincorrere un colpaccio?
Forse è meglio un «gruppo» ben coeso

Ad ogni mercato atalantino c’è chi sogna l’ingaggio di un pezzo da novanta (magari anche a fine carriera o giù di lì), o altri pronti a sottoscrivere una rosa senza prime donne ma solida e compatta.

Due scuole di pensiero alle quali è difficile accordare un rigido consenso. In entrambi i casi, comunque, non dimentichiamo i tradizionali obiettivi di un’Atalanta che al pari delle consorelle di provincia è solita privilegiare la permanenza in serie A.

Teniamo, ahinoi, presente che quando il compianto presidente Ivan Ruggeri aveva dichiaratamente inteso alzare l’asticella la squadra, addirittura, retrocesse. Sborsando qualcosa come una trentina di miliardi delle vecchie lire, il direttore generale Beppe Marotta ritenne di portare a Bergamo i «pezzi pregiati» Comandini e Saudati, di proprietà del Milan.

Certo, il Baggio del Brescia di buona memoria e ai giorni d’oggi il Toni del Verona sprigionerebbero l’acquolina in bocca anche agli scettici dei colpi sensazionali.

Venendo al pratico, la gestione Percassi ci ha abituato a rimanere coi piedi blindati a terra. In più occasioni il portavoce direttore generale Pierpaolo Marino ha ribadito che per il club orobico la duratura collocazione nella massima divisione equivale ad un celebrato scudetto.

Concetto che ai supporter delle ultime generazioni non suona, molto probabilmente, in modo soddisfacente. Vale, allora, la pena ricordare alcuni dei ricorrenti calvari patiti nel corso dell’ultracentenaria storia societaria. Soffermandoci su questa pista, optare per il confezionamento di un undici e relativo organico all’insegna di una certificata umiltà di base con giocatori, comunque, di provato rendimento non sembra, poi tanto, un ripiego. Se però dovesse scapparci la prelibata ciliegina sulla torta, beh...

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