Felice Gimondi ha il cuore sanguinante per le ferite che il suo amatissimo sport si infligge con perfido masochismo. Ma guarda avanti. «Da questo Tour - dice - usciamo da un lato con un cumulo di ceneri, dall’altro con una granitica certezza: il ciclismo racchiude in sé valori troppo profondi per non permetterci di guardare oltre il baratro. Abbiamo toccato il fondo, non possiamo che risalire: ci vorrà tempo, ma ce la faremo».
E ancora: «Una cosa voglio dire anche ai corridori: ragazzi, non scherzate col fuoco, non mettete a repentaglio la vostra salute e il vostro futuro. E siate onesti, non cercate scorciatoie, perché è finito il tempo dell’impunità. Ormai ai controlli si trova tutto, non c’è possibilità di farla franca. Ricordate che il ciclismo è bello proprio perché è fatica. Bisogna faticare in allenamento, tornare a casa morti di stanchezza, sdraiarsi e poter dire: ma quant’è bravo quello che ha inventato il letto».L’intervista integrale su L’Eco di Bergamo oggi in edicola
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