Il grande prato e la Fiera mercato
Poi cambiò tutto: un «salotto» in città

Da Storylab spunta questa foto datata 1907. È la vecchia Fiera di Bergamo, lungo il Sentierone, fotografata da quello che oggi è largo Belotti. Demolita pochi anni dopo questo scatto, la Fiera lasciò spazio al Centro piacentiniano che ancora oggi è considerato il «salotto» della città. La storia di questo luogo, che inizia con un grande prato, è affascinante.

Nel nostro viaggio nel tempo, insieme all’immagine di Storylab e alle notizie del nostro archivio, ci accompagnano anche questa volta le preziose informazioni storiche raccolte da «Il Sentierino», il progetto-percorso di comunicazione urbana ideato per scoprire (e riscoprire) il centro della città con le storie di personaggi del passato che nel corso di mille anni hanno trasformato l’antico prato della Fiera nel Centro piacentiniano della Bergamo moderna.

Sì, un prato. Perché per secoli nell’area del Sentierone vi fu un grande spazio libero, tra i borghi di San Leonardo (sulla via per Milano) e Sant’Antonio (sulla via per Venezia). In questo prato ogni anno veniva organizzata una Fiera in coincidenza con le feste patronali di Sant’Alessandro: il documento più antico riguardante la Fiera risale all’anno 899, quando il re d’Italia Berengario donò ad Adalberto, vescovo di Bergamo, la corte Morgula, il mercato di Sant’Alessandro e il prodotto dei dazi. Il mercato della Fiera di Sant’Alessandro, di solito concentrato tra il 22 agosto l’8 settembre e cresciuto nei secoli fino alla metà dell’Ottocento, aveva un ruolo rilevante per l’economia locale: era infatti un momento di acquisto e vendita di merci di vario tipo (manufatti di lana, cotone e seta; panni di lana; seta grezza e semilavorati serici; ferro; pietre coti); era un deposito di prodotti, ad esempio panni tedeschi destinati nell’Ottocento a servire l’intera Lombardia; ed era anche un luogo di incontro e contrattazione fra produttori e mercanti svizzeri, tedeschi, inglesi, italiani. L’importanza del mercato cittadino è attestata sia dalle ammirate descrizioni di viaggiatori italiani e stranieri, sia dai dati rilevabili per alcuni periodi sul numero di commercianti e dei visitatori e sul valore delle merci scambiate, sia dai provvedimenti di esenzione daziaria adottati in suo favore dai governi succedutisi nel territorio, principalmente da quello di Venezia.

La struttura originaria della Fiera era costituita da «casotti» in legno (ne risultano circa 2.000 nel 1596), costantemente sottoposti a rischio di incendi. Nel 1730 i mercanti decisero di raccogliere i fondi per trasformare le strutture in legno in botteghe di pietra: nell’antico prato venne così eretto tra il 1734 e il 1740 un edificio quadrato con 540 botteghe e dodici ingressi (tre per ogni lato), che si aprivano al centro su una piazza con fontana (la stessa che è oggi in piazza Dante). Ad ogni lato si trovavano quattro torrette, sedi di pubbliche istituzioni.

Tra i tanti che arrivarono a visitare la Fiera di Bergamo, c’è anche Rudolf Toepffer, viaggiatore, scrittore e illustratore di Ginevra, considerato tra l’altro uno dei fondatori del fumetto moderno. Nel 1840 arrivò a Bergamo e rimase affascinato da questo luogo che accoglieva mercanti e produttori da mezza Europa: tedeschi, inglesi, francesi, svizzeri e italiani (la popolazione della città, in quei giorni, triplica). Ma quello che più lo colpì, fu la «fabbrica» delle attrazioni sorta intorno alle botteghe. All’angolo di questo immenso bazar c’erano baracche che racchiudevano spettacoli d’ogni sorta: giganti, nani, circhi, rinoceronti, marionette.

Nella seconda metà dell’Ottocento iniziò il declino della Fiera: gli affari si svolgevano altrove e la struttura divenne un complesso di magazzini e depositi, che la sera si prestavano anche ad attività di malaffare. Così all’inizio del Novecento l’area finì al centro di una «rivoluzione» urbanistica, firmata dall’architetto romano Marcello Piacentini (da cui prende il nome il Centro piacentiniano che conosciamo oggi). Per trasformare questa zona la città di Bergamo avviò un vero e proprio concorso nazionale, in cui il Sentierone fu considerato l’asse portante attorno al quale disegnare il nuovo centro della città bassa. E qui entrò in campo Piacentini, che arrivò a Bergamo proprio per partecipare al concorso, pubblicato nel 1906, insieme ad altri architetti e ingegneri (11 concorrenti in tutto). Il Comune nel frattempo si era attivato per acquisire gli edifici della Fiera (procedura piuttosto laboriosa, visto che di molte botteghe non si sapeva neppure chi fosse il proprietario).

La giuria bocciò tutti i progetti, evidenziando che le nuove costruzioni rovinavano la vista di Città Alta. Ma l’anno successivo fu bandito un nuovo concorso: tra i 27 concorrenti si presentò di nuovo Piacentini, con un altro progetto, che riuscì a convincere la giuria evitando di ripetere gli errori del concorso precedente. Iniziarono così le demolizioni e, nel 1914, venne costruito il primo edificio: la sede della Banca d’Italia. Il progetto del nuovo centro fu completato in una dozzina d’anni. Qui di seguito il confronto tra la vecchia Fiera fotografata nel 1907, prima delle demolizioni, e l’area del Centro piacentiniano che conosciamo oggi, nello scatto del nostro Beppe Bedolis.

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