Alaska, il ritorno a casa di Gatti: «Oltre i limiti sulla vetta del Denali».

Il barista di Oriocenter L’alpinista bergamasco racconta l’impresa portata a termine: «Durissimo salire ma pure scendere. Punto a una vetta himalayana».

Lo si può trovare a Oriocenter, affaccendato dietro al bancone del bar che gestisce. E chi lo vede non si immagina neanche l’impresa che ha appena vissuto per oltre due settimane, a cavallo tra maggio e giugno, dall’altra parte dell’Oceano. Pietro Gatti, 60 anni, bergamasco, è reduce dalla sua prima spedizione alpinistica fuori dall’Italia, alla conquista della vetta più alta del Nord America: il monte Denali, nel cuore dell’Alaska, a quota 6.190 metri. Un’esperienza nella natura selvaggia, in balìa del vento pungente e di un clima severo.

Oltre ai pericoli che si trovano normalmente in montagna, dai crepacci alle slavine, lì abbiamo incontrato una temperatura costantemente sotto lo zero, stazionante tra i -15 e i -40 gradi

«Oltre ai pericoli che si trovano normalmente in montagna, dai crepacci alle slavine, lì abbiamo incontrato una temperatura costantemente sotto lo zero, stazionante tra i -15 e i -40 gradi: ci siamo preparati alla spedizione per un anno ma sul Denali è tutt’altra cosa e bisogna essere veramente pronti», ha spiegato Gatti, alpinista con numerose ascese sull’Arco alpino, amante dello sport all’aria aperta e appassionato di ricerca e studio di nuove attrezzature e materiali tecnici. La missione ha visto protagonisti, oltre a Gatti, due marchigiani, Renato Malatesta e Mario Salvi, entrambi con in curriculum diverse ascese in alta quota.

Tra le tante insidie la mancanza di ossigeno

«Per 17 giorni siamo stati abbandonati a noi stessi: arrivati al campo base, dopo essere stati trasportati sul ghiacciaio da un apposito aeroplanino, siamo stati lasciati in piena autonomia e da lì in poi abbiamo dovuto dipendere solo da noi stessi – ha spiegato Gatti, tornato in Italia il 4 giugno –. Abbiamo dovuto fare i portatori e gli sherpa, pensare al mangiare e al bere, montare le tende antistrappo dove dormire e costruirci gli igloo per ripararci dal vento, con mattoni di ghiaccio appositamente tagliati con sega e pala. L’acqua la ricavavamo dalla neve che scioglievamo con la benzina mentre il nostro nutrimento erano liofilizzati, carboidrati e proteine».

Serviva un maggiore acclimatamento e quindi qualche giorno di pausa, ma il team leader ha deciso di proseguire, senza sosta, fino alla cima. Lui stesso, dopo averla raggiunta, ha riscontrato problemi di congelamento, è stato successivamente evacuato e noi altri due compagni abbiamo dovuto sobbarcarci, durante la discesa, il suo peso

Le insidie non sono mancate, tant’è che Gatti si è dovuto fermare a un passo dalla vetta, ai 5.300 metri del campo alto, causa la mancanza di ossigeno: «Serviva un maggiore acclimatamento e quindi qualche giorno di pausa, ma il team leader ha deciso di proseguire, senza sosta, fino alla cima. Lui stesso, dopo averla raggiunta, ha riscontrato problemi di congelamento, è stato successivamente evacuato e noi altri due compagni abbiamo dovuto sobbarcarci, durante la discesa, il suo peso, oltre alla slitta di 40 e passa chili, allo zaino e a tutte le attrezzature tecniche». In un contesto del genere Gatti ha trovato la forza per portare a termine l’impresa nei messaggi dei famigliari e di chi ha «preso parte» alla spedizione tramite il sito creato ad hoc (https://denali6190.it). «Avevamo telefono e comunicatore satellitare: il mio compito era di dare la nostra posizione in tempo reale. E così anche sponsor e appassionati hanno potuto seguirci costantemente».

La prossima sfida, una cina himalayana

Con il rientro a Bergamo per Gatti è ora tempo di recuperare gli otto chili persi in Alaska e tracciare un bilancio dell’avventura: «Sono partito perché volevo conoscere i miei limiti. La montagna mi regala ebbrezza ed evasione dal lavoro quotidiano: è un contesto in cui ricarico le pile, assaporando il senso della vita, e posso dire che questa spedizione mi ha dato tanto. Abbiamo visto paesaggi fantastici e anche degli animali, tra cui un alce, fino a portare a termine una spedizione non per tutti. Non puoi andare sul Denali tanto alla leggera perché lì si rischia davvero tanto. Ringrazio mia moglie Lubi, mia sorella e quanti mi hanno supportato. Ora tappezzo il bar con le foto dell’ impresa eccezionale e guardo al futuro. Sto pensando a un’altra ascesa: una nuova cima, magari himalayana».

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