Braccialetti elettronici, la denuncia
«Ci sono, ma non si usano»

Monito dell’Unione delle Camere Penali: l’operatività potrebbe semplificare il controllo e alleggerire le carceri sovraffollate. Nonostante questo, il Governo non sblocca l’uso di 10mila braccialetti già disponibili.

Il 30 novembre 2019 l’Unione delle Camere Penali Italiane organizza la V^ giornata nazionale dei braccialetti.
L’installazione del braccialetto elettronico consente da un lato di monitorare costantemente i movimenti dell’indagato agli arresti domiciliari, dall’altro lato consente all’indagato (ossia ad un cittadino sottoposto ad un procedimento penale non ancora approdato ad una sentenza), di vedere compressa in maniera meno invasiva la propria libertà, diritto fondamentale tutelato dall’art. 13 della Costituzione.

L’introduzione di questa modalità di controllo operata con il D.L. 341/2000 non ha tuttavia provocato gli effetti auspicati tra i quali la riduzione della popolazione carceraria (riducendo in modo considerevole il numero di detenuti in attesa di processo).

Infatti, evento non raro nel nostro Paese, essa è stata bloccata da difficoltà tecniche, burocratiche e, da ultimo, anche politiche. Dapprima si è dovuto aspettare il 2005 perché fossero operativi i primi 2.000 braccialetti. Da allora il loro utilizzo non ha mai superato il 10% degli stessi. I recenti problemi di sovraffollamento carcerario hanno però dato una sterzata alla procedura di assegnazione, e così nel dicembre 2017 il Ministero dell’Interno ha siglato un accordo commerciale con una compagnia telefonica avente ad oggetto l’affidamento, per un arco temporale di 36 mesi, per la fornitura e la gestione dei braccialetti elettronici.

Il numero dei dispositivi disponibili veniva aumentato da 2.000 ad oltre 10.000 ogni mese. Ed è con comprensibile orgoglio che le parti contrattuali potevano pubblicamente dichiarare come a partire dal mese di ottobre 2018 il nuovo sistema di controllo a distanza avrebbe permesso il rilascio di circa mille detenuti al mese, con un totale di 22.000 nei due anni successivi.

L’esecuzione del contratto pareva offrire un’immediata risoluzione ai problemi di sovraffollamento carcerario (ai tempi pari a circa 60.000 detenuti, quasi 10.000 oltre le massime capienze delle strutture penitenziarie) e di riduzione del numero di indagati presenti in carcere (all’epoca ed anche ora pari a circa 20.000 persone).

E invece qualcosa, come sempre, ha inceppato il meccanismo. Già nel corso della Quarta Giornata dei Braccialetti del 30.11.2018, l’Unione Camere Penali aveva segnalato la ritardata partenza del nuovo contratto. Ma quello che a distanza di un paio di mesi poteva sembrare un semplice ritardo, nel tempo si è rivelato qualcosa di più. La mancata attivazione del servizio era (ed è) dovuta all’omessa nomina da parte del Ministero dell’Interno, della commissione di collaudo di tutto il sistema riguardante l’emissione del servizio, quindi l’infrastruttura, la sede di controllo e i device.

Nonostante rassicurazioni provenienti dal precedente e dall’attuale Governo, la commissione non è stata ancora insediata. E intanto gli anni passano e migliaia di indagati (e quindi persone sottoposte a processo ma per le quali non è stata ancora accertata alcuna responsabilità) aspettano dietro le sbarre di conoscere il loro destino. E mentre nel resto del continente i programmi di sorveglianza elettronica domiciliare sono in costante aumento, l’Italia come sempre resta al palo, pagando in termini economici (l’utilizzo del braccialetto elettronico in luogo della custodia cautelare porta notevolissimi risparmi di spesa), sociali (la detenzione cautelare in carcere aumenta enormemente i rischi di recidiva) e personali (una detenzione carceraria, magari seguita da una sentenza di assoluzione, provoca ferite che non si rimarginano), il prezzo di una politica giudiziaria lontana dai principi contenuti nella nostra bella e obliata Carta Costituzionale.

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