Disney World chiusa, bloccati in 135
I ragazzi bergamaschi: «Un incubo»

Il parco divertimenti in Florida lascia a casa i lavoratori e dà un ultimatum: «Entro il 18 aprile fuori dagli Stati Uniti». I giovani di Sorisole e Palosco: «Difficile trovare voli di rientro».

Là dove c’erano colori e suoni, ora regnano silenzio e vuoto. Era capitato solo in casi eccezionali (uragani e 11 settembre) e per un paio di giorni al massimo. Il Covid è riuscito a spegnere anche la fantasia, a oltranza. Disney World, il più grande parco tematico del mondo, si è trasformato in una città fantasma. E in una prigione per 135 ragazzi italiani, tra cui almeno quattro bergamaschi (di Sorisole, Palosco e Cenate Sotto), bloccati a Orlando, in Florida.

«Eravamo qui a lavorare, come rappresentanti del nostro Paese in Epcot (una sorta di Expo permanente, ndr)», racconta Greta Baggi, 26enne di Sorisole, sommelier e una laurea in Filosofia. Una prima esperienza di un anno e mezzo nel 2017, poi il ritorno negli Usa a inizio febbraio. Storia molto simile a quella di Riccardo Gatti, 26 anni, e Martina Pelliccioli, 24, entrambi di Palosco e impiegati nella ristorazione, arrivati il luglio scorso, attraverso la selezione di Patina Restaurant Group. Senza immaginare che il coronavirus avrebbe ribaltato ogni programma. «Dal 14 marzo – Greta ripercorre le tappe di quello che sta diventando un incubo – i nostri contratti sono “sospesi” e lunedì scorso ci è arrivata una lettera che per “motivi di sicurezza” ci chiede di lasciare le case, in affitto nei residence Disney, entro il 17 aprile e gli Stati Uniti entro il 18».

Un ultimatum che ha gettato nel panico la comunità di lavoratori, sconcertata anche per il trattamento. «Non solo il parco ha continuato a funzionare nonostante gli allarmi sulla diffusione del virus, esponendoci a dei rischi. Dopo le prime chiusure, ci hanno anche detto che era più sicuro rimanere qui, forse nella speranza di riaprire in tempi brevi. Ora ci cacciano, col rischio di finire in strada e di essere illegali sul suolo americano, dato che il visto non è più supportato da un datore di lavoro», è allarmata Greta.

Al degenerare della situazione si è scatenata la caccia al volo di rientro. Qualcuno ce l’ha fatta (in origine erano 195 i lavoratori italiani), gli altri sono in attesa. «I voli per Fiumicino via New York sono schizzati fino a 4.700 euro. Ora siamo in contatto con la Farnesina, per capire se si riesce a organizzare un volo diretto Alitalia, che bypassi Ny, epicentro della pandemia. Ci hanno assicurato una risposta entro lunedì (domani, ndr)», confida Greta. La difficoltà starebbe nei costi. Il trasporto Alitalia, infatti, da quanto emerso, costerebbe 400 mila euro, da dividere tra i passeggeri. Il distanziamento obbligatorio a bordo rende necessari almeno due aerei, con prezzi inaccessibili. Nel frattempo, quindi, i ragazzi si sono attivati per il «fai da te». «C’è Lufthansa, via Francoforte con scali a Chicago o Toronto, per Malpensa. Ma sui siti ufficiali delle ambasciate dicono di affidarsi solo a compagnie di bandiera per evitare che i voli vengano cancellati e di rimanere bloccati da qualche parte», spiega Riccardo, che già l’11 marzo scorso aveva contattato il consolato italiano a Miami, facendo presente cosa sarebbe potuto succedere, senza ricevere risposte.

«C’è confusione nelle informazioni», conferma preoccupato Andrea Pelliccioil, papà di Martina. Oggi per i ragazzi una Pasqua blindata in casa. «Noi bergamaschi abbiamo visto quello che è successo nei nostri paesi, e quindi applichiamo le regole di sicurezza, anche se qui in Florida la gente va ancora in giro, sottovalutando il pericolo», raccontano, con un pensiero alle loro famiglie: «Per fortuna ci sostengono e ci rassicurano».

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