Famiglie, mobilità, commercio e cultura
Covid-19: ecco come ripartirà Bergamo

Il documento della Giunta comunale di Bergamo per ripartire: dalla mobilità, ai nuovi orari, ai servizi per le famiglie.

«La necessità di convivere nei prossimi mesi con il coronavirus - scrive la Giunta nel documento “Bergamo 2020” – oltre a quella di far fronte alle conseguenze della lunga sospensione di tante attività produttive, chiama l’Amministrazione comunale di Bergamo alla responsabilità di elaborare una strategia articolata, che abbraccia tutti gli ambiti della vita cittadina. Si tratta da un lato di mettere a punto una serie di scelte volte al “recupero” di ciò che stato danneggiato dal lockdown, e dall’altro di immaginare un forte cambiamento di molti aspetti della nostra vita quotidiana, radicalmente impattati – anche se forse solo provvisoriamente – dalla necessità di tutelare la salute dei cittadini e di evitare una nuova diffusione dell’epidemia. Siamo chiamati a cambiare il nostro modo di vivere e ad immaginare una diversa organizzazione della città. Ovviamente molte decisioni deriveranno dalle istituzioni nazionali e regionali, per le rispettive competenze, ma già sappiamo che anche a livello locale sarà necessario riprogettare attività e servizi, così da comporre una “nuova normalità” segnata dalla coabitazione col virus». Così la Giunta comunale di Bergamo presenta il documento «Bergamo 2020, strategia di rilancio e adattamento» pubblicato sul sito del Comune nella serata di lunedì 11 maggio.

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«Questo esercizio richiede, necessariamente, una rilettura del piano di mandato della Giunta, i cui obiettivi restano attuali ma che non può non risentire del nuovo scenario. È dunque in primis la componente politica dell’amministrazione, la Giunta, insieme alla sua maggioranza, a doversi mettere in gioco. Ma riteniamo che il processo di adattamento di Bergamo al contesto post-Covid possa più efficacemente essere messo a fuoco e implementato se si saprà realizzare un processo di confronto esteso e inclusivo che veda l’intera città – attraverso le diverse forme di rappresentanze – dare il suo contributo. Questo documento va dunque inteso come un primo position paper redatto dalla Giunta comunale, utile ad avviare un confronto che auspichiamo intenso e fecondo».

«Bergamo – lo sappiamo - non è una qualunque città alle prese con la crisi innescata dal coronavirus. Bergamo si è trovata ed essere l’epicentro di questo flagello. Bergamo è tra le città del mondo quella che ha pagato in proporzione il prezzo più elevato, con la maggiore mortalità causata dall’epidemia e con pesantissime conseguenze sotto il profilo economico e sociale. L’impresa a cui Bergamo è chiamata – tutta la comunità cittadina, non solo l’Amministrazione comunale – è dunque quella di rimettersi in piedi dopo essere andata al tappeto, trovando nella nuova fase di ricostruzione le stesse energie e la stessa capacità di coesione che le sono servite per resistere e combattere nelle settimane dell’estrema emergenza sanitaria». Si tratta di ricostruire ciò che è andato distrutto in poco più di due mesi, di ribaltare l’immagine della città – oggi universalmente collegata al nome del virus – per tornare a renderla attrattiva, anche sotto il profilo turistico.

«Bergamo resta terra di manifattura, ma negli ultimi anni il turismo – grazie anche allo straordinario sviluppo dell’aeroporto – era emerso come una componente essenziale della nostra economia. Oggi è azzerato. Ci aspetta dunque un grande lavoro, in cui il capoluogo – e non solo riguardo al turismo – è chiamato ad un ruolo di riferimento per tutto il territorio provinciale, ugualmente colpito».

«Crediamo che una leva fondamentale per ripartire possa essere la cultura. Nonostante le limitazioni a cui il settore sarà costretto nei prossimi mesi. Lo sviluppo turistico di Bergamo è infatti avvenuto attorno alle sue bandiere culturali, da Donizetti alla Carrara, dalle Mura Patrimonio Unesco alle sue architetture, attraverso le tante manifestazioni che ne hanno arricchito il calendario. Molte di queste andranno ripensate, al tempo del coronavirus, e nondimeno pensiamo che il rilancio della città non possa che passare da una particolare vivacità del ricco sistema della cultura che la città è in grado di esprimere, accompagnata al requisito di “città sicura”».

«Il tessuto economico della città, fatto in gran parte di servizi, commercio e piccole imprese artigiane, è stato fortemente colpito dall’emergenza sanitaria e dalle limitazioni che questa ha comportato. Per evitare che si debba assistere alla definitiva cessazione di molte di queste attività sono necessari interventi di sostegno e di rivitalizzazione, ben oltre la sola liquidità resa disponibile dai provvedimenti fin qui varati dal governo, anche perché è assai probabile che anche quando le limitazioni verranno progressivamente allentate molte di queste attività debbano per un lungo periodo fare i conti con una forte contrazione della domanda».

«In gioco c’è l’anima stessa della città, fatta di relazioni, socialità e condivisione. Ci sono la vivacità, il decoro e la sicurezza dei luoghi. Ma soprattutto c’è il reddito di migliaia di famiglie, a vario titolo coinvolte nelle occupazioni che caratterizzano questi settori e che la perdita di molti posti di lavoro porterebbe a precipitare in una condizione di immediata precarietà. E’ quindi necessario dotare la città – ad integrazione dei dispositivi attivati dal governo – di strumenti di intervento economico a sostegno del tessuto produttivo della città, e in particolare delle piccole e piccolissime imprese dei settori più colpiti».

«Per rimediare alla forzata riduzione della capienza di tante attività – da quelle della ristorazione e della somministrazione a quelle culturali, ricreative e sportive che normalmente si svolgono in strutture chiuse – saremo chiamati a ridefinire l’uso degli spazi pubblici: delle piazze, delle strade, dei parchi e degli spazi verdi, provando così a combinare distanziamento fisico, salvaguardia delle relazioni sociali e sostenibilità economica di queste funzioni. Questo ci chiamerà ad un grande impegno anche sotto il profilo della vigilanza. Contiamo però che l’esperienza maturata in questi mesi – in cui abbiamo visto la Polizia Locale riconvertire in parte le proprie funzioni – ci consentirà di accompagnare la progressiva ripresa, dalla mobilità alla fruizione degli spazi verdi e delle piazze, vigilando con efficacia sul rispetto delle normative per la sicurezza dei cittadini».

Servirà anche operare, nei limiti del possibile, per uno snellimento delle procedure, con il doppio obiettivo di accelerare il più possibile la realizzazione delle opere pubbliche già previste – cosa rilevante anche per i benefici che potrà portare al settore delle costruzioni e all’indotto collegato – e di semplificare la relazione tra le imprese e la pubblica amministrazione; e così, viste le limitazioni di capienza a cui sarà sottoposto il trasporto pubblico, per favorire in ogni modo lo smartworking e lo sfalsamento degli orari di molte attività – a partire dai servizi comunali rivolti al pubblico – al fine di evitare concentrazioni negli spostamenti e picchi di traffico. E’ come se entrambe le dimensioni principali del nostro vivere – il tempo e lo spazio – andassero improvvisamente rivisitate.

«La necessità di diluire le presenze nei diversi luoghi della città per evitare assembramenti e rischi di contagio ci spinge verso una dilatazione del “tempo utile” giornaliero, con l’adozione di orari differenziati e di turnazioni. Lo smartworking, con cui decine di migliaia di cittadini di Bergamo hanno familiarizzato nelle scorse settimane, grazie anche a tecnologie di recente diffusione, contiene a sua volta un’esperienza di contrazione dello spazio, e di sostanziale riduzione degli spostamenti, da cui sarà importante non recedere nei prossimi mesi».

«Sappiamo già che quello della mobilità sarà uno dei campi di più complessa gestione, anche dal punto di vista politico. La strategia di progressivo “trasferimento” di quote di mobilità dal mezzo privato (auto) al trasporto pubblico è pesantemente minata dalle necessità di protezione sanitaria che oggi si impongono. Fino a che non sarà disponibile un vaccino i mezzi pubblici saranno soggetti a rilevanti limitazioni della loro capienza (fino al 75%) e saranno probabilmente percepiti come luoghi poco sicuri. Non sarà più possibile incentivarne l’utilizzo, così come non si potrà più promuovere il car pooling, e lo stesso car sharing risulterà probabilmente penalizzato. L’uso dell’auto privata verrà (comprensibilmente) percepito come il modo più sicuro per muoversi. E’ evidente quindi che corriamo un grande rischio di “retrocessione” rispetto al percorso verso la mobilità sostenibile che avevamo intrapreso. Per salvaguardare i nostri cittadini dal contagio rischiamo ritrovarci in mezzo ad un traffico impazzito e ad un drammatico peggioramento delle condizioni dell’aria. Dobbiamo assolutamente evitarlo, ma non sarà facile. L’unica opzione che abbiamo è puntare con forza sulla mobilità dolce, ma non basterà farlo in termini “ideologici”: convinceremo i nostri cittadini a usare di più la bicicletta – o la e-bike, o i monopattini elettrici, o gli scooter elettrici – se faremo dei passi concreti per favorire queste soluzioni, a partire dalla realizzazione di nuove piste ciclabili, di percorsi sicuri, e da forme di incentivazione diretta».

«C’è un’altra cosa che abbiamo chiara, anche qui a proposito di come cambia lo spazio. Se dobbiamo evitare gli affollamenti e ridurre la domanda di mobilità; se vogliamo tuttavia garantire a tutti i cittadini la piena accessibilità dei nostri servizi e anzi rafforzare la dimensione di prossimità che consente di evitare l’isolamento di tante persone e generare maggiore inclusione, dobbiamo puntare con forza sui quartieri.

Non si tratta per Bergamo di un cambio di rotta, anzi. Proprio questa direzione di marcia era ben evidenziata nel programma elettorale del 2019 e nelle successive linee di mandato. Decentramento dei servizi comunali, welfare di quartiere (addirittura di strada o di condominio), pieno coinvolgimento della cittadinanza attiva a partire dalla felice esperienza delle Reti di quartiere, rivalutazione dei luoghi d’incontro decentrati (il progetto “una piazza in ogni quartiere”), potenziamento della cultura diffusa: questa era già la nostra idea. Ma adesso ne siamo ancora più convinti.

L’epidemia in aggiunta ha messo particolarmente a nudo la vulnerabilità dei cittadini più anziani, e non solo dal punto di vista sanitario. La condizione di solitudine che caratterizza la vita di molti di loro si è rivelata un ulteriore fattore di fragilità che occorrerà cercare di colmare con il potenziamento dei servizi domiciliari e un’accelerazione del progetto di welfare territoriale avviato nei mesi scorsi. Lo stesso potremmo dire della cura dei bambini, in questo avvio di Fase 2 forse uno dei temi più trascurati e più critici. Anche qui – vista la complessità che potrebbe caratterizzare il riavvio dell’attività scolastica, e ancor di più le attività educative per la fascia 0-6 – i quartieri appaiono la dimensione di una possibile organizzazione “dal basso”, fondata sulla condivisione e sulla mutualità.

Anche per questi progetti serviranno risorse aggiuntive, ed è inutile dire che preoccupa la condizione di partenza, con le casse comunali pesantemente penalizzate dalle minori entrate di questi mesi. Così come servirà la tecnologia, in questo caso per attivare piattaforme che consentano di aggregare la domanda e l’offerta dei servizi: un altro pezzo della nostra idea di “nuovo welfare” che l’emergenza Covid ci spinge ad anticipare.

Del resto è questa l’impressione che stiamo maturando: che il forzato esercizio di creatività e concretezza a cui siamo chiamati per far fronte alla crisi scatenata dal coronavirus possa rivelarsi – aldilà delle sofferenze e delle difficoltà – anche una grande opportunità di trasformazione, un acceleratore di cambiamento. Alcuni fattori giocano a nostro favore – come la spinta verso la dimensione di quartiere – altri, come l’istintivo ritorno all’uso dell’automobile, sembrano sospingerci all’indietro; ma potrebbero obbligarci ad anticipare scelte che diversamente avremmo impiegato molti anni a fare, e rivelarsi quindi a loro volta utili. Certo la complessità della sfida è grande. Ed è per questo che appare importante aprire un confronto intorno alle idee esposte in questo documento».

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