Kiko, 20 anni di un successo con smalto
«Così abbiamo cambiato la cosmetica»

Parla il fondatore, Stefano Percassi: dal primo corner da Fiorucci in piazza San Babila alla svolta In India il millesimo negozio, dieci giorni fa lo sbarco in Times Square a New York. I dipendenti sono 8 mila.

Per i primi vent’ anni di un successo, si può anche fare. Stefano Percassi, che di anni ne ha 42, rompe il silenzio e per la prima volta si concede un’ intervista a tutto campo sulla sua creatura: Kiko. Oggi «la cosmetica per tutti a prezzi accessibili», sintesi di una storia che ha raccolto contaminazioni da mondi diversi, si trova in ogni città e non solo in Italia. Ma vent’ anni fa, quel primo corner di otto metri quadrati aperto da Fiorucci in piazza San Babila a Milano era molto più di una scommessa. Quindi, bilanci e progetti non possono che ripartire da lì.

Com’ è nata l’ idea di Kiko?
«Ero store manager in Benetton a piazza San Babila. Un periodo bellissimo. Eravamo il primo negozio al mondo del gruppo per vendite. Durante un viaggio in Arizona, mio padre (Antonio) mi aveva parlato di un fenomeno nella cosmetica che in Italia non c’ era ancora, mentre negli Stati Uniti già esistevano grandi catene nel settore. Io avevo voglia di scoprire il mondo lavorando e di creare qualcosa che avesse un impatto forte».

Quali sono stati i suoi punti di riferimento?
«Il primo, sicuramente mio padre. Il secondo, Luciano Benetton. Lavorando in San Babila ho vissuto in modo forte la filosofia Benetton, che ha conquistato il mondo con un marchio italiano e con il colore».

All’ abbigliamento però ha preferito la cosmetica.
«L’ abbigliamento era già abbastanza pieno. Avevo conosciuto dei produttori di cosmetica.Era un mondo in cui si vedevano ancora cose noiose. Le profumerie avevano un approccio altezzoso: sembrava di entrare in gioielleria. Volevo creare qualcosa di aperto e divertente».

Com’ è successo che il primo corner di Kiko è nato da Fiorucci?
«Fiorucci era attaccato a Benetton in piazza San Babila. Elio era un grande: spesso gli chiedevo un parere sulle vetrine. Andai da lui e gli chiesi uno spazio per Kiko: mi disse di sì, a condizione di portargli qualcosa di fresco e divertente. Andai a chiedere di disegnare il corner a Francesco e Alessandro Mendini, che allora firmavano i negozi Swatch nel mondo».

E come scelse il nome?
«Ero in viaggio in America. Volevo trovare un nome corto efficace. Conobbi per caso una ragazza giapponese che si chiamava Kiko. Tornai e feci realizzare il marchio».

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