Krizia, il cioccolato e le mani ballerine
Passioni, vizi e virtù di Mariuccia Mandelli

Amava alla follia il giallo, mangiava cioccolato fondente e nei corridoi dell’azienda bastava una frase per spiegare come giravano le cose: «Non si muove foglia che Mandelli non voglia». A un mese dalla morte di Krizia, donna appassionata e sincera, generosa e austera, molti la ricordano con affetto, «perché era una donna incredibile, e pur non avendo peli sulla lingua, ci ha lasciato una moda che è stata avanguardia».

A ricordare frammenti di vita è Francesca Riva, nipote di Flora Dolci, grande amica di Mariuccia Mandelli, suo braccio destro quando la stilista bergamasca fece le valigie, abbandonò in un cassetto il diploma di maestra e iniziò a cucire in un appartamento preso in prestito dal musicista Lelio Luttazzi.

Siamo alla fine degli anni Quaranta e le due donne, bellissime e affiatate, si conoscevano dall’infanzia: «Abitavano entrambe in Città Alta, sono cresciute insieme e insieme si sono lanciate in quell’avventura - spiega Francesca Riva -. Fu Mariuccia a proporre a Flora di aiutarla nel progetto stilistico. A prestare il denaro necessario, a quei tempi parliamo di 30 milioni di lire, fu mio padre: Krizia glieli restituì pochissimi anni dopo, con i primi successi». E continua il racconto: «Mariuccia era estrosa e originale, un’artista spesso e volentieri caotica che sapeva poco seguire i conti e l’organizzazione del lavoro. In Flora trovò la giusta e fidata contabile, un’amica che la consigliava e con pignoleria seguiva tutta la parte amministrativa di quella che diventò in pochissimo tempo una maison».

Flora non si sposò mai. Più grande di Krizia di 7 anni, è morta nel 2012: «Mia mamma era sua sorella e tutta la mia famiglia era legata a Mariuccia: da bambina ricordo quando andavo da zia Flora e Mariuccia, a trovarle in atelier. In via Agnello, dove tra abiti e specchi giravano donne bellissime. Un pomeriggio mia zia mi indicò le gemelle Kessler: io avrò avuto 4 o 5 anni e c’era Mariuccia che stava facendo provare degli abiti a queste due donne bionde, luminose e altissime».

Francesca Riva racconta una Krizia sempre sbarazzina e determinata, «indossava esclusivamente i suoi abiti, quei tagli geometrici e puliti che la renderanno immortale», i capelli corti e dritti, molto spesso gli occhiali, «bianchi come in quella vacanza a Capri, dove andava sempre con mia zia Flora». Le foto di quei giorni di riposo mostrano la spensieratezza di un’epoca, tra abitini leggeri di cotone, i larghi cappelli di paglia e i sandali rasoterra: «Li metteva anche d’inverno, in giro per gli uffici: scarpe aperte anche a dicembre» sorride Francesca Riva che spiega come era Krizia al lavoro: «Che posso dire? Un’artista con eccentricità e pazzie, esuberante e creativa – sorride -. Mai con una matita in mano: lei non disegnava bozzetti e modelli, creava spostando stoffa con quelle dita che danzavano nell’aria, tagliando e ricucendo». Quel fascino delle trasformazioni che il capo viveva attraverso le sue dita sottili sormontate da gioielli era l’attimo più intenso del lavoro da Krizia, «fatto di creazioni sempre nuove, che durante le prove generali ci lasciavano stupefatti».

Francesca Riva arriva nello stabilimento di Sesto Ulteriano, nel Milanese, a 26 anni: «Era il 1988. Avevo iniziato quattro anni prima da Krizia Baby, ero partita come centralinista per poi fare tutta la gavetta necessaria. Il mio primo giorno a tu per tu con Mariuccia Mandelli me lo ricordo bene: mi fece chiamare in una stanzetta, dove aveva appena finito di pranzare. Uscirono tutti e rimasi da sola con lei: “Ricordati che se non vali, con un calcio nel sedere ti rimando a casa” mi disse» sorride Francesca Riva, che aggiunge: «Non guardava in faccia nessuno, se valevi ti portava in palmo di mano. Ma bastava che facessi un errore e ti ritrovavi fuori dai giochi». Alti e bassi che erano la norma, in un brulicare di persone e idee, di progetti.

«Non parlava mai dei suoi colleghi, girava voce che prima delle sfilate s’incontrava con Armani, Versace, Ferrè. Era un mondo della moda molto diverso da quello di adesso». Francesca Riva in azienda era spesso a contatto con la stilista: «Diciamo che ero legata a Mariuccia anche per un motivo ben più personale: fu lei a fare da cupido tra i miei genitori, presentando mio padre e suo amico Arnaldo Riva a mia madre Lidia. E quando mia mamma aprì alla fine degli anni ’50 una boutique in via Sant’Orsola, “La Botteguccia”, Mariuccia la accompagnò molte volte a Parigi per scegliere i capi». Tanti ricordi, tante le parole: «”Mai pensare che la moda sia solo il proprio gusto personale” diceva sempre. “Bisogna imparare a intercettare i molteplici desideri della gente e trasformarli in moda”».

Da qui quelle stampe e fantasie vistose che poco si avvicinavano al suo modo di essere: «Era molto più minimalista nel vestire - ricorda -. Appariscente solo nei gioielli, con i tanti anelli etnici che indossava: mai sul dito medio, le avevano detto che portava sfortuna». Scaramantica, molto umile («la trovavo in bagno che lavava le tazzine del caffè»), amava stare con la gente: «Non stava mai sola, si circondava di collaboratori, era un tipo pratico e ingegnoso che dagli altri pretendeva tantissimo». Controllando tutto: dal tessuto al capo finito, dal packaging alla comunicazione esterna. «Molto competente sui tessuti, la sua fonte d’ispirazione principale è sempre stata l’arte. Via Manin fu la sua più grande soddisfazione, quello spazio era il suo sogno e la raccontava nella sua essenza più vera». E via Manin resta il simbolo più forte di Mariuccia Mandelli: «Ricorderò per sempre l’amore che metteva in quel posto, proprio come quando guardava i suoi vestiti e, con quelle mani veloci, creava il suo mondo».

Fabiana Tinaglia

© RIPRODUZIONE RISERVATA