La Cassazione decide sull’ex questore
Per Dino Finolli ci sono i domiciliari

Arresti domiciliari per l’ex questore di Bergamo Dino Finolli, dal 31 gennaio in pensione: lo ha deciso la Cassazione che hanno sentenziato su un doppio ricorso, discusso mercoledì nel palazzo di piazza Cavour a Roma.

Finolli, insieme all’amico imprenditore Giovanni Cottone, ex marito di Valeria Marini e ora in carcere, è uno dei personaggi più noti dell’inchiesta sul presunto svuotamento della società di lavoro interinale Maxwork, che conta 19 indagati di cui uno in carcere (Cottone) e 4 ai domiciliari. Per l’ex questore il tribunale del Riesame a novembre ha disposto i domiciliari ed è su questa decisione (rimasta sospesa) che sono piovuti i due ricorsi. Quello dei pm Maria Cristina Rota e Fabio Pelosi, che invocavano il carcere; e quello del difensore Andrea Locatelli che mercoledì, nell’udienza romana, ha chiesto sia il rigetto del ricorso dell’accusa (carcere), sia la riforma della decisione del Riesame (domiciliari).

C’è da dire che il procuratore generale si era già espresso per l’accoglimento della decisione del Riesame (arresti domiciliari). Quest’ultimo, pur rilevando la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per due episodi di presunta corruzione e pure il pericolo di reiterazione del reato, aveva respinto la richiesta di carcere dei pm Rota e Pelosi, in quanto Finolli è «soggetto incensurato, sulle cui capacità di autocustodia non vi è motivo di dubitare». Ma la Procura di Bergamo aveva rilanciato, gettando sul piatto una serie di comunicazioni via whatsapp del luglio 2016 con Cottone, per tentare di dimostrare che le pressioni per conto dell’amico imprenditore sarebbero continuate nonostante i due da più di un anno sapessero di essere indagati. I pm a riguardo di Finolli sottolineavano «l’estrema pericolosità sociale e l’assoluta assenza in capo a un funzionario di alto livello della Polizia di Stato del senso del dovere e del rispetto delle regole e del giuramento prestato».

L’avvocato Locatelli mercoledì ha fatto notare che gli episodi citati nel ricorso non sono contenuti nei capi contestati nell’avviso di chiusura delle indagini e dunque si suppone che neppure i pm li considerino penalmente rilevanti. In più - sempre secondo il legale - sono successivi ai fatti in oggetto della decisione del Riesame, dalla quale è scaturito il ricorso della Procura. Secondo la difesa non c’era comunque il presupposto per il pericolo di reiterazione, e cioè del funzionario pubblico che reitera il reato nei confronti dell’imprenditore.

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