La storia: il sindaco-mister con la felpa
e la sue battaglie per l’Amatriciana

Barba sfatta, senza sonno da due giorni, il sindaco Sergio Pirozzi indossa con orgoglio la felpa con la scritta Amatrice. È un simbolo, per lui. Il «Popolo delle felpe», con la scritta del paese, fu un movimento spontaneo di concittadini per difenderlo da sospetti senza fondamento.

Lui, amareggiato, aveva scelto di dimettersi a gennaio, nel giorno del suo compleanno, ma quasi tutta Amatrice gli fece sentire il suo affetto. Come ora l’Italia intera. «Devo ringraziare tutti di cuore, sono arrivati aiuti al di sopra dell’immaginabile. E questo un piccolo sindaco di montagna non se l’aspetta. In dieci secondi s’è sbriciolata una vita, ma siamo gente tosta, di sostanza, e ci rifaremo. Ricostruiremo Amatrice a partire dal suo centro storico. Sotto le macerie ? Qui siamo una comunità che si conosce per nome e cognome e non avere notizie di un sacco di amici è una tragedia nella tragedia».

Finora Pirozzi, allenatore di calcio molto stimato, attualmente sulla panchina del Trastevere, s’era distinto da sindaco, oltreconfine, per la difesa dell’Amatriciana, recentemente contro lo chef Carlo Cracco che pretendeva di farci entrare «l’aglio in camicia» tra gli ingredienti.

Più indietro nel tempo per difendere l’onorabilità della definizione. Erano i primi giorni di aprile del 2011 e, nelle agenzie di stampa, si diffuse una notizia curiosa. Il sindaco di Amatrice aveva diffidato i media dall’uso «improprio» del termine «all’amatriciana», conosciuto in tutto il mondo come sugo da accompagnare alla pasta, preferibilmente bucatini. Era successo infatti che Il Messaggero, in relazione a uno scandalo edilizio, avesse titolato «Svendopoli all’amatriciana» e la cosa a Pirozzi non fosse andata a genio. Di qui la diffida.Era una notizia brillante e, come tale, la trattammo in una rubrica proprio in prima pagina.Dopo due giorni, inaspettatamente, il sindaco di Amatrice ci contattò per esprimere la sua gratitudine per l’interessamento e ci raccontò della sua conoscenza del calcio bergamasco, specialmente quando era sulla panchina della Primavera dell’Ascoli. Confidò inoltre che, perdurando il problema dell’uso improprio di «amatriciana», sarebbero partite le prime denunce.Non sappiamo se e come sia riuscito ad arginare il fenomeno, siamo però consapevoli di quanto quei giorni fossero spensierati di fronte all’odierna apocalisse.Imparammo a conoscere Amatrice un pochino, allora, studiandola sull’atlante e sui ricettari e facendo attenzione alle parole zeppe di amore del suo sindaco, intanto che ce ne parlava al telefono.Lo stesso sindaco che adesso dice «Amatrice non c’è più», che si aggira disperato cercando di aiutare la sua gente e che spera venga trovato qualcuno vivo sotto le macerie dell’albergo Roma, nel cui ristorante pare si gustasse l’Amatriciana più buona del mondo. A cinque anni e più di distanza, Amatrice e il suo sindaco sono tornati sulla nostra prima pagina.Ma avremmo tanto voluto, con tutto il cuore, riparlare nuovamente del sugo per i bucatini.

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