Dieci anni fa se ne andava Terzani
Il ricordo di Lorenzo Jovanotti

Dieci anni fa se ne andava Tiziano Terzani. Autore di libri bellissimi. Ho avuto la fortuna di incontrarlo e di essergli amico. L’ultima volta che gli ho parlato lui lo sapeva che gli rimaneva poco tempo. Mi aveva scritto via mail di passarlo a trovare a casa a Firenze.

Dieci anni fa se ne andava Tiziano Terzani. Autore di libri bellissimi. Ho avuto la fortuna di incontrarlo e di essergli amico.

L’ultima volta che gli ho parlato lui lo sapeva che gli rimaneva poco tempo. Mi aveva scritto via mail di passarlo a trovare a casa a Firenze.

Presi la macchina da Cortona e andai, arrivai nel primo pomeriggio e Tiziano mi venne ad aprire, salutai la moglie Angela e lo seguii nella sua stanza, nella penombra creata dalle persiane socchiuse, in un pomeriggio di piena primavera che scoppiava di sole. Mi ricordo quella stanza piena di cose che arrivavano dal suo aver girato il mondo per una vita, e una barca di libri che riempivano ogni spazio, tutte cose che sarebbero rimaste lì anche dopo, e per questo mi interessavano parecchio meno di lui che invece se ne stava per andare, e che mi stava di fronte con quella nuvola di barba bianca e un pancione grande al quale lui stesso non era abituato ma che in fondo gli stava anche bene. Rafforzava quell’aspetto in bilico tra santo e orco dei suoi ultimi anni, quelli in cui si era fatto pellegrino della pace senza perdere quella spavalderia gustosa che è nella sua scrittura e ci sarebbe anche se invece di parlare di pace avesse scritto di motocross o di wrestling. Per questo la sua scrittura regge al tempo, perchè è viva, non sa mai di lezioncina, il suo è un pacifismo avventuroso, a volte è prima di tutto avventuroso, prima ancora di essere pacifismo.

(...) In quell’ultimo pomeriggio passato insieme Tiziano volle che fossi io a parlargli, mi domandò cosa stessi progettando, che canzoni nuove stavo scrivendo, domandò che gli recitassi il testo che più mi stava a cuore tra quelli in cantiere e alla fine mi fece un commento che mi dette un’idea che poi ho messo in quel testo, ma non vi dico quale, è una sola parola ma mi mancava e completò la canzone. Strano, avevo centomila domande da fargli ma era lui a chiedere a me cosa pensassi del nuovo mondo digitale, dei social network che stavano prendendo piede, dell’uso dei cellulari come nuova abitudine di massa, della politica, dei giovani e del futuro, di tutte cose alle quali lui non avrebbe partecipato, tempo scaduto. Mi domandava dei giovani, come se io fossi una specie di vedetta sull’albero di qualche nave alla deriva, di come li vedevo, di quello che pensavo di loro. Lui stava per morire e mi domandava dei giovani. Quell’uomo lì di fronte a me aveva un mondo di storie da raccontare e chiedeva a me di raccontargli qualcosa, e mi ascoltava, e si aspettava che smontassi qualche sua convinzione, mi dava l’idea che desiderasse che io gli smontassi qualche punto fisso, ma non ci riuscivo, perchè non ne aveva. Era riuscito, dopo una vita passata a innamorarsi del nuovo e dell’antico fino a fonderli insieme e a ribaltarli, a non avere più un pregiudizio che fosse uno; era riuscito a danzare, ora che aveva la panciona grossa dalle malattie e dalle medicine, era diventato un leggerissimo danzatore e stava lì di fronte a me che gli dicevo cose come in un rap senza rime, un free style. Tiziano Terzani, nell’ultimo giorno che l’ho incontrato mi ha lasciato un regalo: l’ascolto.

E così quando riprendo in mano i suoi libri e leggo qualche pagina mi sembra non si sentirlo parlare ma di sentirlo ascoltare, ascoltare me (o un me qualsiasi che potrebbe essere chiunque) che leggo la sua voce, una specie di splendido paradosso.

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