Buon compleanno Guccini: 70
Cantautore-poeta anarcoide

Da giovane voleva fare lo scrittore, poi gli è capitato di scrivere canzoni: materia ritenuta più immediata per accedere all'universo femminile. È diventato un cantautore di parte, capace di attraversare gli anni della politica senza piegarsi a leggere volantini. Francesco Guccini è anche uno scrittore di successo, sebbene vecchi e giovani fan siano più disposti ad accordargli affetto e devozione quando intona «La locomotiva», alle fine di ogni concerto.

Il Maestrone è un'istituzione: il grande vecchio della canzone d'autore italiana, poeta anarcoide, cantautore pigro ai limiti dell'indolenza. Ora che compie settant'anni sembra quello di sempre. Sarà per via di quei manifesti, gli stessi dagli anni '70, della ritualità quasi seriale dei concerti, sta di fatto che Guccini sembrava già vecchio quando aveva trent'anni. Anzi, ora che ne ha tanti di più sembra un ragazzo, per lucidità, dinamica mentale, per il guizzo di un'intelligenza arguta e sorniona.

La sua vita, come quella di tutti, è un racconto lungo, con qualche spunto in più rispetto alla media. Le canzoni, i romanzi, i saggi, i racconti: Guccini è un affabulatore, contento di scoprire che su Internet i giovani gli scrivono e lo lusingano a modo loro. La rete per Guccini è un buco infernale che fa perdere tempo, anche se il computer è diventato compagno di confidenze in questi ultimi anni.

Scrivere, raccontare, al di là delle note, non è che l'estensione di una comunicazione coltivata nel tempo con maestria artigiana. Quando era poco più che ragazzo ha fatto il giornalista, poi l'insegnante, alla fine s'è messo a scrivere canzoni che hanno dato la svolta alla musica italiana. La lezione l'ha appresa ascoltando gli «americani», Bob Dylan, Woody Guthrie, apprezzando l'amarezza intensa di Leonard Cohen, ma ha messo del suo nelle canzoni.

Ha preso a prestito gli accordi del folksong e tradotto in musica gli appunti presi a tutte le ore del giorno. Le canzoni sono tutte nate su foglietti volanti, e mai per l'esigenza della vecchia casa discografica, la Emi, sempre e solo quella. Non c'è stato assillo di scadenze a fargli chiudere un pezzo in fretta e furia. I versi e gli accordi arrivano quando arrivano, si prendono per mano e poi la canzone nasce, con calma. La diversità tra il cantautore Guccini e tutti gli altri in fondo è lì.

In tanti anni l'uomo di Pavana ha distillato un pugno di canzoni, qualche poesia da antologia, una discografia esemplare che fa da spina dorsale alla musica italiana. Tournée sempre meno massacranti, niente televisione, la scelta di apparire in disco quando c'è qualcosa da raccontare, quando le solite otto canzoni sono pronte ad entrare nel cuore di un pubblico che si è rinnovato negli anni.

«Scrivere una canzone è più difficile - spiega -, al di là del valore che può avere una pagina scritta, la canzone è sintesi, mentre in prosa puoi andare avanti menando il can per l'aia. La canzone invece deve essere sintetica, e chiudere i concetti in strofe». Ora di chiudere altre strofe Guccini non ha gran voglia, anche se promette nuove canzoni, a tempo debito. Quando arriveranno agiteranno ancora una volta il vessillo della storia, reciteranno una poesia, imbracceranno un'altra utopia.
 Ugo Bacci

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