«Il furore delle immagini»
In mostra la storia della fotografia

«Il furore delle immagini» è un titolo forte, quasi violento. Cattura la passione del visitatore e poi la mette in sintonia con quella degli autori, man mano che egli osserva, anzi scopre la mostra. L'esposizione ideata e promossa dalla Fondazione di Venezia nelle sale della Fondazione Bevilacqua La Masa, in piazza San Marco, non è semplicemente una mostra di fotografia ma «la mostra della fotografia italiana». Dagli esordi della «maravigliosa invenzione» nella prima metà del XIX secolo ai giorni nostri.

Un percorso fatto di immagini, 260 selezionate dall'archivio di Italo Zannier, ma anche di parole scritte - nelle dettagliate didascalie che spiegano le tappe evolutive e nei testi e nei documenti che le accompagnano - e pronunciate - nel documentario che chiude la visita e in cui tra gli altri interviene lo stesso Zannier.

Divoratore di libri e cultore di cinema («ho letto tutti gli Einaudi»), interessato alla pittura, ma soprattutto innamorato della fotografia «come mistero e magia e ideologia», il professore di Spilimbergo, 78 anni, autorità nazionale in materia di immagini e di storia della fotografia, che bazzica da quasi 60 anni, fotografo lui stesso (e giornalista), fondò il Gruppo friulano per una Nuova fotografia, ha insegnato all'Università veneziana di Ca' Foscari e al Dams di Bologna, ha organizzato rassegne ed esposizioni e scritto un fiume di saggi.

Una vita spesa per la conoscenza «dalla passione al furore», dove la fotografia diventa «una fede profana» che «mi aiuta a "credere", perlomeno a qualcosa, a una passione. Sono un fortunato! Che senso ha vivere senza passione?». È l'impulso che dalla sua vita onnivora, da quello che egli definisce «il mio, quasi patologico, furor photologicus», attraversa la mostra di Venezia, città cui lo studioso friulano è legatissimo, una mostra che casualmente, ma felicemente, incrocia l'esposizione che l'ha preceduta al Forma di Milano dedicata a “La fotografia in Italia 1945-1975. Capolavori dalla collezione Morello”.

Passione, dunque. Un registro che da solo basta a dare un senso ben più che culturale all'idea di visitare la mostra in Laguna, così sapientemente curata da Denis Curti (in un comitato scientifico completato da Angela Vettese e dallo stesso Zannier). Passione che nella sezione ottocentesca degli esordi ci restituisce una “Venezia al chiaro di luna” (immortalata da Carlo Naya nel 1870 e stampata all'albumina con viraggio su carta colorata, in grandi dimensioni, fuori formato per l'epoca), un Canal Grande che lascia senza fiato e suscita la meraviglia di un quadro.

E un anonimo ci ha lasciato una cartolina del 1921 che ritrae un Umberto di Savoia il quale – come rileva Vettese – più che un principe pare un Rodolfo Valentino, nel sorriso ammiccante da viveur. C'è passione ne “Il gesto” di Riccardo Moncalvo (1937), con quel braccio aperto che pare sospeso nell'infinito e che è stato scelto per la copertina del catalogo. La «forza irruente» della fotografia – come la ribattezza Curti – esce dalle immagini di miseria del Paese nel Dopoguerra e si adagia sulla «povertà involontaria» dei letti di una camera d'albergo con Magni e Bartali che fumano in mutande (Giuseppe Palmas, 1951). «S'intravede la stoffa a righe del materasso di crine e la carta da parati non riesce a nobilitare il luogo», commenta Vettese.

Siamo al fotogiornalismo e nel decennio successivo Tazio Secchiaroli, re dei paparazzi, ha fissato un Federico Fellini che, frustino alla mano, salta magro e agile in un cortile sul set di “8½” (1963). La Sofia Loren che Secchiaroli ha colto nel 1966 davanti alla macchina fotografica di Richard Avedon ha un make up da gatta «e – osserva Vettese – la prima bocca voluminosa, sporgente, larga ed esibita in quanto tale nella storia della bellezza». È la passione che si fa donna e probabilmente tocca il suo culmine. Come nella visione erotica (firmata da Francesca Spanio nel 1984) di una signora – in veste ricamata di trasparenze e di luce – che riposa su un fianco, dietro un enorme velo di tulle, la lunga collana di perle che le scende dal collo, le cinge il polso e si distende sul letto.

Il viaggio, che contempla anche le tecniche di sperimentazione, prosegue e tocca volti contemporanei, si spinge fino a Beirut e Sarajevo. Facendo un salto indietro incontriamo “Cercatore di tartufi a Bonizzo. Il trifulin” (1972), ripreso in compagnia di due vispi cani da caccia dal caravaggino Pepi Merisio, presenza di rigore tra i giganti della fotografia.

Ma lo scatto più incredibile che ci è rimasto impresso è “Il tuffatore” di Nino Migliori (1951), dove il tuffatore è Zannier ripreso in asse perfettamente orizzontale mentre si lancia in mare. Qui non c'è bisogno di Photoshop e la dedica dell'autore, scritta a mano sulla cornice bianca, dice una vita in una riga: «All'amico Italo che sa tuffarsi con altrettanta classe nella cultura».

Orario e biglietti
La mostra «Il furore delle immagini. Fotografia italiana dall'archivio di Italo Zannier nella collezione della Fondazione di Venezia», alla Fondazione Bevilacqua La Masa, in piazza San Marco 71/c a Venezia, è visitabile fino a domenica 18 luglio. Il biglietto costa 5 euro (3 il ridotto) e l'orario di apertura va dalle 10 alle 18. Martedì 13 luglio è giorno di chiusura. Info: 041-2201215, www.fondazionedivenezia.org
Andrea Benigni

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