Il vescovo: «Potere e denaro
Ecco gli idoli da temere»

Un avvio dai toni profondi, sussurrati e a tratti vigorosi quello della «Meditatio dello Spirito». La voce del vescovo di Bergamo, monsignor Beschi, ha reso più intenso l'evento nella splendida chiesa di Sant'Egidio in Fontanella a Sotto il Monte.

Un avvio dai toni profondi, sussurrati e a tratti vigorosi quello della «Meditatio dello Spirito», una sezione di riflessione e meditazione che si sviluppa all'interno della manifestazione promossa dalle Acli, «Molte fedi sotto lo stesso cielo». La voce del vescovo di Bergamo, monsignor Beschi, ha reso più intenso l'evento nella splendida chiesa di Sant'Egidio in Fontanella a Sotto il Monte.

Luogo di pace, luogo dello spirito, che ha visto affrontare un tema fortemente contemporaneo, quello dell'idolatria. Per trattare la questione il vescovo è partito dal testo biblico, quello del capitolo 20 del libro dell'Esodo. Lentamente, dando spazio e tempo a ogni parola, ha letto i versetti in cui vengono proclamati i comandamenti consegnati da Dio a Mosè. Non l'elenco che rimandiamo a memoria dal catechismo, ma la Parola di Dio nella sua interezza, così come fu pronunciata e scritta. Parole che hanno ispirato il titolo della serata «Non avrai altro Dio all'infuori di me. Contro ogni idolatria.

«L'idolatria di oggi – ha spiegato monsignor Beschi – non è soltanto una moltiplicazione di piccoli dei, ma è quella tentazione che si trasforma in disposizione interiore a mettere le mani su Dio, a possederlo, con il linguaggio moderno diremmo a manipolarlo. Siamo raffinati manipolatori di Dio, della fede, della Parola». Il vescovo ha ricordato le parole pronunciate dal Papa al Sinodo dei vescovi del Medio Oriente, con la virata inaspettata sull'idolatria.

«È difficile e molto doloroso separarci dagli idoli – ha continuato – perché, nel momento in cui vengono spazzati via, rivelano la loro inconsistenza». Ma dove sta allora la differenza fra Dio e gli idoli? «Che cosa hai Dio per essere migliore dei miei idoli che mi rassicurano così tanto?». La voce del vescovo prende forza e regala la risposta che viene ancora dalla Sacra Scrittura: perché Dio è vivo. «È vivo e non lo posso imprigionare e continuerà a sorprendermi».

Poi monsignor Beschi snocciola quello che chiama «un piccolo elenco, piccoli prêt-a-porter di tutti i giorni», dove si affacciano per primi orgoglio e ambizione. «Viviamo l'ingombro di un idolo che chiede tanti sacrifici, che si chiama io». Poi introduce «gli idoli della tribù» e cita la razza, la tradizione, la cultura. «Sto dicendo cose che sono buone, ma è la trasformazione in idoli che è pazzesca».
 
È la volta del successo, dei soldi, del potere. «La città dell'uomo contemporaneo è mossa da questi dei». Si sprofonda in un abisso, in conflitti che mettono gli uomini gli uni contro gli altri, in una guerra spesso subdola, non dichiarata, ma ugualmente atroce.

«L'idolo produce disumanità – dice il vescovo in conclusione –. Il disprezzo dell'uomo e l'odio hanno come origine l'idolatria, il sé, il successo, il denaro. Assistiamo ad una corsa a un'autonomia che non ha nell'altro il proprio limite». In chiusura regala due storie, una ancora biblica, quella di Giobbe, di un uomo che lotta con Dio, «lottare con Dio è dura, noi in fondo preferiamo un Dio che ci consoli», e l'altra intessuta nella poesia intensa di David Maria Turoldo, che, di fronte alle parole incise sulla pietra delle tavole della legge, chiude la meditazione: «…perché mai più sulla terra qualcuno solo scalfire potesse quei segni…».

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