Un minuto con Dante
Il martirio di Santo Stefano

Come ultimo esempio di mansuetudine Dante racconta di aver assistito, sempre nella sua strana estasi, ad una scena particolarmente toccante: una folla inferocita ed urlante sta lapidando un giovane, ormai a terra e ferito a morte.

IL MARTIRIO DI SANTO STEFANO

15.106 Poi vidi genti accese in foco d'ira
15.107 con pietre un giovinetto ancider, forte
15.108 gridando a sé pur: «Martira, martira!».

15.109 E lui vedea chinarsi, per la morte
15.110 che l'aggravava già, inver' la terra,
15.111 ma de li occhi facea sempre al ciel porte,

15.112 orando a l'alto Sire, in tanta guerra,
15.113 che perdonasse a' suoi persecutori,
15.114 con quello aspetto che pietà diserra.


Come ultimo esempio di mansuetudine Dante racconta di aver assistito, sempre nella sua strana estasi, ad una scena particolarmente toccante: una folla inferocita ed urlante sta lapidando un giovane, ormai a terra e ferito a morte.
Si tratta di Stefano, il primo martire della comunità cristiana. Stefano si china verso terra, ormai morente, ma tiene sempre gli occhi rivolti al cielo, come se fossero delle porte spalancate sul mistero.

Come se ciò non bastasse il giovane prega Dio che perdoni i suoi persecutori, con quell'atteggiamento di composta mansuetudine che contrasta enormemente con la ferocia dei suoi carnefici e con la drammaticità dell'evento di cui è protagonista.

Stefano viene qui descritto, riprendendo un passo degli Atti degli Apostoli, come un vero e proprio “alter Christus”. La sua mansuetudine non è solo frutto di autocontrollo ma scelta libera e generosa che porta al dono totale di sé.

Enzo Noris

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