Donizetti, crepe e infiltrazioni
Il teatro cittadino perde i pezzi

La tappezzeria strappata e la moquette a chiazze nei palchi, zona «nobile» del teatro, sono il primo segno visibile della bellezza decadente del Teatro Donizetti. Il salotto buono della città è come un abito elegantissimo ma consunto e pieno di «toppe».

La tappezzeria strappata e la moquette a chiazze nei palchi, zona «nobile» del teatro, sono il primo segno visibile della bellezza decadente del Teatro Donizetti. Il salotto buono della città è come un abito elegantissimo ma consunto e pieno di «toppe».

Se fosse tutto qui, poco male: con trentamila euro una fila di palchi si può rinnovare (come è stato fatto l'anno scorso per la più malridotta), anche se di questi tempi i soldi per un intervento «semplice» come questo si possono ricavare solo sottraendoli al budget - già limitato - per le stagioni artistiche: un delitto.

Tanto per avere un'idea, considerando non solo i costi degli spettacoli ma anche quelli del lavoro necessario per la messa in scena, nell'ultimo anno sono stati spesi 1.700.000 euro per la lirica, 1.300.000 per la prosa (compresi gli Altri Percorsi), 270.000 euro per il jazz, 89.000 per l'operetta. Per la manutenzione ordinaria, dice Massimo Boffelli, direttore del teatro, vengono destinati in media 80-90 mila euro, più altri 50-60 mila per garantire il funzionamento del teatro.

I problemi strutturali del Donizetti però, «un luogo – afferma Boffelli – che porta i segni della vita della città da quando ha iniziato a funzionare, nel 1791, fino ad oggi», vanno molto più in là, e basta entrarci per notarli: già nel foyer le decorazioni di gesso sono sbeccate, qua e là si notano crepe nei muri e infiltrazioni.

Certo, i danni più evidenti sono altrove, sul soffitto della platea, e si vedono bene dalle prime file, anche se in parte sono mimetizzati agli occhi del pubblico dai colori dell'affresco di Francesco Domenighini: ai margini ci sono aree scrostate e rigonfiamenti che fanno temere per il futuro problemi più gravi e cedimenti. Il nubifragio di inizio giugno ha dato dei segnali: l'acqua è arrivata – se ne vedono le tracce – sul palcoscenico, in uffici e locali di servizio. Il tetto, evidentemente, non tiene. Anche il terremoto ha contribuito ad allargare qualche crepa. Sono i danni più evidenti, ma i segni di degrado sono ovunque.

Sul palco: salirci è un brivido, ancor di più pensando a tutti i grandi attori che ci sono passati. «Prima o poi arrivano tutti» sottolinea Boffelli. Peccato che a terra ci sia un pavimento usurato, che i camerini siano troppo piccoli anche se dignitosi, arredati in stile anni '70, i bagni spartani, l'ingresso per gli attori angusto e buio. I fili elettrici sono spesso a vista, i neon non si accendono mai al primo colpo, anche l'impianto d'illuminazione ha un'aria decadente, salvo nelle zone rinnovate di recente, come gli uffici, l'assessorato, la sala dei matrimoni, sottoposti a restyling nel 2006, quando sono state rifatte le facciate.

Sotto il palco un altro mondo, sconosciuto ai più: la falegnameria, dove artigiani e tecnici provvedono ai piccoli lavori di manutenzione (come la sistemazione delle poltrone) e un ampio laboratorio dove vengono costruite le scenografie per le opere liriche prodotte dal teatro. Una volta c'era anche la sartoria, ora spostata ai piani superiori. «Ma i lavori specialistici – spiega Boffelli – come la sistemazione dei lampadari che illuminano il teatro, del primo Novecento, che richiedono tecniche, materiali e lavorazioni particolari, devono essere appaltati all'esterno».

Ora, in piena pausa estiva, ne mancano diversi, affidati alle cure di una restauratrice. Nella galleria la situazione appare in tutta la sua criticità: sulle scale d'accesso in diversi punti il linoleum rosso si è sollevato. Le barriere di legno che si affacciano sulla platea, nonostante la manutenzione (e i segni delle tante stuccature e verniciature sono evidenti), hanno un'aria usurata e fragile. Ci sono crepe sui muri e sul soffitto lungo tutto il perimetro dell'edificio. Le macchie lasciate dalle infiltrazioni sono dappertutto. Fa un grande caldo: uno dei motivi per cui il teatro funziona per trecento giorni all'anno ma da metà giugno in poi rimane chiuso è che manca l'impianto di condizionamento.

Quello di riscaldamento, dal canto suo, da tempo non viene rinnovato. E pensare che questo è il «biglietto da visita» della città per chi arriva a Bergamo, e il luogo dove i cittadini incontrano le personalità di spicco, ultima in ordine di tempo il ministro Elsa Fornero.

Un posto vivo, che ogni bergamasco sente un po' suo, dove ognuno ha almeno un ricordo. Si vedono ponteggi e impalcature intorno al teatro ma l'intervento di «tamponamento» in corso riguarda solo il restauro e la messa in sicurezza della torre scenica, la parte che contiene le quinte, i graticci da cui si comandano le scene, i meccanismi, sul retro dell'edificio. L'ultimo progetto di restauro, completo, bello e forse un po' ambizioso per questi tempi d'austerità, preparato dagli studi Arassociati e Berlucchi, chiedeva uno sforzo di 18 milioni di euro.

Di certo una ristrutturazione radicale è necessaria, per salvaguardare lo splendore, ora offuscato, di questo cuore pulsante della città: in vista ci sono scadenze importanti, dall'Expo 2015 alla candidatura di Bergamo a capitale della cultura. Che peccato presentarsi così.

Sabrina Penteriani

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