Pasotti prepara un nuovo film
«Arlecchino è già una rockstar»

Giorgio Pasotti, con Rai Cinema e l'Officina della Comunicazione di Alzano sta lavorando a un film su Arlecchino girato in provincia di Bergamo e a Venezia. Sta mettendo insieme un «pool di finanziatori» in grado di sostenere il progetto.

Giorgio Pasotti, con Rai Cinema e l'Officina della Comunicazione di Alzano sta lavorando a un film su Arlecchino girato in provincia di Bergamo e a Venezia. Sta mettendo insieme un «pool di finanziatori» - istituzioni come Regione, Provincia, Comune di Bergamo, e poi Confindustria, Confartigianato, Ance, Camera di Commercio, banche, imprenditori privati - in grado di sostenere il progetto.

Il grande Ferruccio Soleri interpreterà il ruolo dell'Arlecchino-padre, Pasotti quello di un attor giovane di successo che torna a Bergamo, riscopre le sue radici ed erediterà i segreti del mestiere.

«Il film - spiega - deve avere le sue radici, anche produttive, in Bergamasca, in tutte le persone che "sentono" questo personaggio e che desiderano costruire un progetto con ambizioni internazionali. Niente di politico ci lega: piuttosto un'appartenenza, un sentimento di cuore verso questa che è probabilmente la maschera più famosa del mondo». 

Dove girerete?
«Soprattutto in città, con qualche scena nell'ex chiesa di Sant'Agostino; poi siamo stati a fare dei sopralluoghi in Valle Brembana, a Cornello dei Tasso, dove la leggenda vuole che Arlecchino sia nato, ad Alzano Lombardo… È un film che dovrebbe utilizzare maestranze ma anche competenze artigianali locali. Non è un'opera "artistica" o, peggio, mondana fine a se stessa, una "voglia" di Giorgio Pasotti: un film su Arlecchino potrebbe certamente imporsi anche in Paesi culturalmente lontani dal nostro, toccare sensibilità che ora neppure immaginiamo. È una opportunità per il territorio. Rocco Papaleo, che è un mio carissimo amico, due anni fa ha ambientato nelle sue terre di origine "Basilicata coast to coast", un film delizioso: da allora il turismo in quelle zone si è improvvisamente incrementato, intere comitive vanno a vedere dove è stato girato. Con una maschera come Arlecchino, mi sembra sia arrivato il momento di pensarci anche noi. La promozione della nostra cultura del resto è sempre stata, fino a vent'anni fa, una caratteristica essenziale del cinema italiano. Il cinema è una forma di artigianato, un film è un lavoro di gruppo, fatto con le mani: poi, nelle sue massime espressioni l'artigianato arriva a essere un'arte. Questo accade anche al fabbro, o a intagliatori del legno come i Fantoni: il cinema è qualcosa di simile per me».

Si è fatto cinema pensando troppo al mondo del cinema.
«È un ambiente molto autoreferenziale in nostro, sì: questo è un altro difetto nel quale troppo spesso siamo caduti in Italia, e così abbiamo reso il nostro prodotto non esportabile, provinciale, raccontando storie che interessano noi ma che nessuno all'estero può apprezzare. Arlecchino invece è un'altra grandiosa invenzione italica che la gente deve scoprire. Eppure su di lui non è mai stato girato un film. Se avessero avuto un personaggio del genere gli americani ne avrebbero fatti già una ventina, e cartoni animati, favole per bambini… Lo avrebbero sfruttato e spolpato, avrebbero messo il suo logo su qualsiasi cosa prodotta dalla nostra industria: bottiglie del latte, quaderni di scuola… Qui a Bergamo non abbiamo ancora capito, forse, le potenzialità di questo personaggio. Arlecchino è positivo, simpatico: dovrebbe essere il logo di Bergamo».

Cosa le piace di lui?
«Ho sempre trovato affascinante e misterioso il mondo delle maschere. E poi Arlecchino è il personaggio. Un autore come Shakespeare l'ha citato molte volte perché è una figura complessa, completa. Ferruccio Soleri sono 40 anni che lo interpreta, una volta l'ho incontrato che stava partendo per la Mongolia… Nel mondo Arlecchino è più famoso di una rockstar: cinesi e giapponesi si sbellicano dalle risa sentendolo parlare, anche se non capiscono una parola di ciò che dice: questo già dà l'idea della potenza della maschera».

Come immagina di interpretarlo?
«Partendo dalla fisicità. Io lo faccio spesso per interpretare i miei personaggi, cosa piuttosto anomala. Gli altri attori di solito si buttano nell'introspezione psicologica per arrivare poi agli aspetti più materiali: io faccio un lavoro al contrario. E Arlecchino deve la sua fortuna proprio al suo aspetto fisico, espresso in modo plateale perché doveva compensare il "non detto" che in lui è sempre molto ampio: deve esprimere con il corpo i suoi sentimenti, le parole che non dice… E poi mi affascina l'idea, che hanno sfruttato a fondo le cinematografie cinese e indiana, di prendere a prestito qualcosa che ci appartiene per tradizione e rileggerla in una chiave moderna».

Ne darà una versione molto bergamasca? Sulla sua paternità si discute…
«Diversi la reclamano, lo so, ma come radice indubbiamente Arlecchino è nostro. Poi nel loro girovagare gli Zanni - che erano artisti di strada, circensi, nomadi che fermavano il loro carro ovunque - hanno preso anche da altre tradizioni. A renderlo famoso è stato indubbiamente Carlo Goldoni, è da Venezia che decolla la "carriera" di Arlecchino: nel '700 ne capi le potenzialità, lo trasformò e lo rese famoso in tutto il mondo, dunque il film non potrà non passare per la Laguna, anzi, partiremo da là per tornare a riscoprire le sue origini qui in Bergamasca. Sarà la storia di un giovane che riscopre tante cose che ha lasciato perché le sentiva estranee, e invece le radici ti appartengono anche se te ne allontani per tutta la vita: là dove affondano, prima o poi tornerai. Sarà questo il tema di fondo del film». 

Questa è anche un po' la sua storia, Giorgio: lei ha cominciato in Cina, è diventato famoso a Roma e oggi vuole girare a Bergamo…
«Un film nasce sempre dalle esperienze che ognuno di noi vive: poi le trasfigura…».

Chi farà la regia?
«È ancora un tassello mancante questo. Stiamo lavorando molto sulla storia, poi dovremo trovare una persona che avverta anche l'odore dei boschi dai quali è uscito Arlecchino...».

Che lingua parlerà?
«Italiano naturalmente. Poi nelle scene in cui recita in teatro vedremo, ci sarà da lavorare sugli accenti bergamasco e veneziano… Però dovrà essere comprensibile a tutti. Il film avrà un "linguaggio internazionale" in ogni senso: Bergamo deve liberarsi della "targa" di città provinciale che spesso le viene affibbiata, e anche questo film può essere un modo per far conoscere qualcosa di questa bellissima città su un palcoscenico vasto. In questo periodo di crisi l'unica cosa che noi italiani possiamo fare è tornare alla nostra tradizione. Io credo fermamente in questo: dobbiamo fermarci un momento, fare qualche passo indietro e riscoprire le cose che ci appartengono, che sono più nostre: là troveremo probabilmente anche alcune risposte».

Carlo Dignola

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