Al Bano per la prima volta a teatro
«La mia vita raccontata sul palco»

Al Bano si racconta, per la prima volta a teatro. Lo spettacolo s'intitola come il libro autobiografico che ha scritto con Roberto Allegri qualche tempo fa: «È la mia vita». Venerdì sera al Creberg Teatro.

Al Bano si racconta, per la prima volta a teatro. Lo spettacolo s'intitola come il libro autobiografico che ha scritto con Roberto Allegri qualche tempo fa: «È la mia vita», una storia da cantare, tra grandi successi, arie d'opera, classici della canzone italiana. Venerdì 10 maggio al Creberg Teatro anche un omaggio a Domenico Modugno (inizio concerto ore 21; biglietti disponibili).

Al Bano è uno dei nostri grandi cantanti, simbolo della tradizione canora italiana, come Gianni Morandi e Massimo Ranieri. Una vita densa e tortuosa la sua.

Perché ha aspettato i settant'anni per affrontare una tournée teatrale? «Prima non avevo nessuna voglia di fare un vero tour. Ne avevo affrontato uno negli anni Settanta, si chiamava Specialissimo '70, e onestamente devo dire che non mi ero trovato bene. Poi uno matura, guarda un po' i colleghi e scatta la molla. Perché non provare!».
Di concerti ne avrà fatti a migliaia!
«Senza tregua. Sia ben chiaro. Ma la tournée teatrale è una novità che mi sta divertendo».
Dopo tanti anni di canzoni, tanti successi, milioni di dischi venduti in tutto il mondo, due libri autobiografici, da dove arriva questa voglia di raccontarsi in scena?
«Apri un giornale e leggi di te, in televisione c'è un servizio che ti riguarda. Alla fine ti viene voglia di dire la tua. Anche per spiegare come stanno le cose e come sono andate. E poi raccontarsi è un dono. In scena non faccio nulla di agiografico, anzi. Semmai uso l'arma dell'ironia, una qualità che ho acquisito strada facendo».
A proposito, in uno dei suoi lavori autobiografici scrive: «La musica è un dono biologico». Che intende dire?
«È stata un dono, una medicina, una terapia. Mi ha aiutato a incontrare me stesso. Da ragazzino cantavo per cancellare quel senso di solitudine, di rabbia che avevo dentro. Da adolescente volevo volar fuori dall'ambito pugliese e non potevo. Mi sfogavo cantando. Pensi che la prima canzone che ho scritto, dedicata a mio padre, è costruita intorno ad un detto pugliese; "la zappa picca, pane ?e pappa", che tradotto in italiano sta a dire: col lavoro del contadino non c'è un gran bel futuro. Cercavo di tradurre le mie sensazioni in musica. Riascoltando le vecchie canzoni mi rendo conto che erano piene di rabbia, di tristezza. Quando più grande andai a Milano cominciai a provare gli effetti di malattie mai avute: la solitudine, la nostalgia che diventava canaglia. Nella nebbia di Milano nacque "Nel sole". Poi sono arrivati gli anni della grande felicità. Ho cantato anche quella. Gli anni Novanta sono stati un baratro, ma la musica mi ha aiutato a superare anche quella prova».
La sua vita in effetti è stata un saliscendi tra momenti felici e momenti anche terribili, certamente difficili.
«La mia vita è stata notte e giorno, estate e inverno, una serie di eventi contrastanti. Più grande diventava il successo, più grandi erano i problemi che seguivano. Però questo è il simbolo vero dell'esistenza. Non solo per me». Ha scritto: «Le storie a volte ti scappano dalle mani e non puoi farci nulla».
Un pensiero amaro.
«Lo so, ma è una grande verità. Ho avuto tante storie che mi sono scappate dalle mani, e non sono riuscito a dominare. Storie che diventavano cavalli impazziti. In quel caso non puoi che essere spettatore di una realtà che non riesci a controllare».
Tornando alle canzoni, lei ha girato il mondo, ha conosciuto personalità politiche, capi di stato, è un «senatore» della musica italiana che si è preso persino il lusso di vincere una causa per plagio con la buonanima di Michael Jackson. Che effetto le fa misurare il successo di una canzone?
«Ogni volta c'è un esame da superare, diceva bene Eduardo: gli esami non finiscono. Non arrivo mai in scena pensando che sono un cantante conosciuto, anche famoso, penso solo che tutte le sere devo dare prova a me stesso e agli altri di quanto valgo, se valgo».
L'ultima cosa. Lei è stato spesso al centro dell'attenzione mediatica, quanto le è costata la curiosità nei confronti della sua vita?
«Non è costata soltanto a me. È il prezzo che devi in qualche modo pagare. Mi ribello, ma so che non ci sarà mai un vincitore in questo gioco. Si deve sopportare. Ricordo la cattiveria di un giornalista che al TgUno disse che tenevo sequestrata mia figlia Ylenia a casa, per farmi pubblicità. Non mi arrendo a queste miserie».

Ugo Bacci

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