La storia di Giulia al «Meeting»
E la sua lezione: serve più umanità

Al Meeting di Rimini la vicenda di Giulia Gabrieli è stata al centro di un dibattito, che ha visto la partecipazione dell'Associazione Medicina e Persona, su un tema molto delicato: «Ospedali, medici e cura. Come Giulia cancellò ogni distanza»

Due anni fa, nella sua casa di San Tomaso de Calvi a Bergamo, Giulia Gabrieli, la ragazzina di 14 anni stroncata da un tumore, volava in Cielo: la sua giovane vita, e la sua sofferenza, la sua storia di fresca e felice testimone di fede, quella fede che lei coltivava con passione anche e soprattutto nei momenti più difficili, è già diventata un libro, «Un gancio in mezzo al cielo».

Ma da domenica è, se possibile, ancora di più: la sua esperienza di vita è diventata un nuovo «decalogo» da diffondere tra chi per professione cura e cerca di guarire tanti ragazzini come lei, malati di tumore o di altre pesantissime patologie. Al Meeting di Rimini, infatti, la vicenda di Giulia è stata al centro di un dibattito, che ha visto la partecipazione dell'Associazione Medicina e Persona, con la moderatrice Paola Marenco, su un tema molto delicato: «Ospedali, medici e cura. Come Giulia cancellò ogni distanza». A parteciparvi, il pediatra Pieremilio Cornelli, Massimo Provenzi, dirigente medico e responsabile Oncoematologia dell'Unità di Pediatria dell'ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo e Bruna Togni infermiera; al tavolo ha dato il suo contributo anche la mamma di Giulia, Sara, mentre tra il pubblico, commosso, ascoltava il papà Antonio.

«Giulia ci ha dato moltissimo, come ricchezza umana, e ci ha anche aiutato a fare qualche "aggiustata" alla nostra professione di medici - ha spiegato al termine dell'incontro il pediatria Pieremilio Cornelli -. In tutto il decorso della sua malattia Giulia ci ha sempre spronati a parlare chiaro: voleva sapere tutto, aveva sempre dei perché da sottoporci e per i quali chiedeva risposte chiare. Ci ha aiutato a riflettere su un tema che è fondamentale per noi: ovvero fino a che punto il curante debba essere "asettico" di fronte a ogni singolo caso. La risposta è lampante, è Giulia stessa: non bisogna avere paura del coinvolgimento emotivo, anzi. Il malato non va mai tenuto all'oscuro, né gli si devono fornire verità edulcorate, ma nel contempo con il malato il medico deve aprire un dialogo, un contatto che vada oltre la situazione della patologia, che arrivi anche al suo cuore. Serve più umanità».

Per saperne di più leggi L'Eco di Bergamo del 19 agosto

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