Cannes, Boni e Donadoni con la Bellucci

Ci sono anche due interpreti bergamaschi, Alessio Boni e Maurizio Donadoni, nel nuovo film di Marco Tullio Giordana, intitolato «Sangue pazzo», presentato al Festival di Cannes, e che vede nel cast Monica Bellucci e Luca Zingaretti. La pellicola racconta la storia (vera) di Luisa Ferida e Osvaldo Valenti (Bellucci e Zingaretti appunto), due attori, anzi, due divi dell’epoca dei cosiddetti «telefoni bianchi», cioè quel cinema fiorito durante il fascismo, che amava raccontare storie in genere frivole o passionali dove le donne erano amanti fatali o vittime predestinate. Specializzati in quei ruoli, Luisa Ferida e Osvaldo Valenti rappresentavano un’eccezione ancora più esotica perché formavano anche una coppia nella vita reale. Guascone, donnaiolo, tossicomane, scatenato e vitalissimo, Valenti viveva sempre sopra le righe affamato di tutto (di vita e di cinema) con una bulimia autodistruttiva, ma anche fanciullesca. Come la Ferida, era partito interpretando ruoli secondari conquistando man mano una notorietà da vero divo. Probabilmente non fu mai in senso stretto fascista (non fu mai iscritto al partito, per esempio), ma accettò di «compromettersi» continuando a lavorare e, soprattutto, accettando di aderire alla Repubblica di Salò e alla X Mas e frequentando personaggi come il famigerato Pietro Koch, torturatore di partigiani nella Milano ormai prossima alla liberazione.Fu proprio per queste sue frequentazioni (sembra dimostrato che Valenti non ebbe mai un ruolo attivo in quelle azioni), e soprattutto come atto esemplare, che Osvaldo Valenti venne fucilato dai partigiani e, con lui, anche Luisa Ferida, che sicuramente non aveva commesso nessun crimine, ma che decise di seguire il suo Osvaldo anche nella morte, dopo averlo seguito nella vita. «Alla mamma di Luisa Ferida – ha tenuto a sottolineare Marco Tullio Giordana – è stata assegnata una pensione di guerra proprio perché è stata dimostrata l’innocenza della figlia». Ma l’aura che circonda ancora oggi i due divi di regime è quella della coppia maledetta degli attori che, come si diceva della Ferida, aveva «ballato nuda per eccitare i torturatori della banda Koch mentre interrogavano i prigionieri». In realtà Luisa Ferida all’epoca aspettava un figlio e non si sarebbe certo esibita in quel modo. Questa vulgata è proprio quella che ha colpito il giovane regista quando venticinque anni fa aveva iniziato, con il compianto Enzo Ungari, a pensare e a scrivere il film. Tanto che in conferenza stampa Giordana stesso ha proposto di guardare il suo film non come una ricostruzione di fatti storici, ma come un film di invenzione: «come un film che entra nel sistema circolatorio dei due personaggi e del Paese». La preoccupazione di Giordana è quella di non scatenare l’ennesima polemica politica: «Per me – ha detto Giordana – quella guerra civile non è ancora finita se da decenni sento ancora usare le parole comunista o fascista come insulto: questa divisione dovrebbe essere morta il 25 aprile del ’45, certo, però, mi preoccupo se vedo i ragazzi di oggi, che non sanno niente della storia, fare il saluto romano».(20/05/2008)

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