Fiera dei Librai, nuovo appuntamento
Stasera c’è Bartezzaghi

Stefano Bartezzaghi, che dal 2002 al 2005 ha insegnato «Semiologia dei linguaggi creativi» all’Università di Bergamo, è figlio del famoso enigmista Piero Bartezzaghi, e fratello di Alessandro Bartezzaghi, condirettore della «Settimana Enigmistica». Dal 2010 insegna allo Iulm «Teorie della creatività» e «Semiotica».

Giovedì alla 21 all’auditorium di Piazza della Libertà, per la Fiera dei Librai presenta il suo «M. Una metronovela» (Einaudi), un «insolito viaggio sentimentale» nella sua città, Milano. O forse sarebbe meglio dire sotto la città, dato che il tracciato lungo il quale si svolge è quello della metropolitana. Bartezzaghi esce un po’ (ma non del tutto) dai suoi labirinti enigmistici e linguistici per affrontare uno psicoviaggio - più che un romanzo -, un attraversamento dei toponimi della metropoli in cui lo accompagnano sontuose memorie letterarie che vanno da Eliot a Victor Hugo, da Gadda ad Arbasino. Affronta una rete di incroci e di coincidenze che parte dai tempi pretelefoninici, in cui il biglietto della corsa urbana costava ancora 100 lire e sulle banchine si poteva fumare, fino all’era di Twitter. Oscillando sopra e sotto la superficie del suolo, tra vu’ cumprà (ormai quasi estinti, a dire il vero) e «bevitrici e bevitori di mojito e caipirinha, caipiroska, Negroni ortodossi e sbagliati» che presidiano gli incroci più trendy della metropoli. Sempre scrivendo in punta di penna, com’è nel suo stile.

È più un ritratto della città o di se stesso, questo libro?

«Non vuole essere una guida di Milano (anche se forse vuole esserlo a modo suo) e l’aspetto autobiografico è più simbolico che reale».

È passato dagli incroci di parole agli incroci di vite.

«Devo dire che io non ho mai conosciuto nessuno in metropolitana... È un luogo, però, in cui certamente si rivela la “concittadinanza”: ognuno per i suoi motivi, ci si trova tutti a viaggiare assieme, a volte strettissimi, cosa che capita solo in ascensore, in verticale, e in metropolitana in orizzontale. Sicuramente è uno dei luoghi in cui più si contempla la varietà sociale che ci circonda».

Lei descrive il sottosuolo non come una bolgia di forze oscure ma come un luogo razionale, una spina dorsale della città.

«Milano è cresciuta nei secoli in modo anche disordinato, la metropolitana invece rappresenta la ricerca di un ordine: infatti i turisti grazie ad essa si orientano. La metropolitana - pare una tautologia - è lineare».

Quella di Milano ha un design particolarmente essenziale, erede forse ancora dell’Illuminismo di questa città.

Persino troppo geometrico e astratto.

«La segnaletica ideata negli anni ’60 da Bob Noorda è considerata un capolavoro proprio per questo suo stile asciutto, razionale, funzionale. Siamo lontanissimi dalle fermate liberty della metropolitana di Parigi o da quella di Napoli, tutta decorata da opere d’arte. Questo “fa rima” con una certa attitudine (che è parte anche della mitologia, e dell’auto-mitologia) di Milano a presentarsi come città funzionale. Ma la metropolitana non è solo un momento di passaggio nel tragitto da Cadorna a Stazione Centrale: quelli passati là sotto sono momenti che fanno parte della nostra giornata. Succedono cose, nella metropolitana: non è un non-luogo».

Il titolo sembra un marchio scontato, e invece resta da decifrare.

«”M” è il simbolo della Metropolitana milanese, . Ma può significare anche Milano. Me. Memoria. Maria - l’amica che ho perduto l’anno scorso a cui ho dedicato il libro...».

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