«I beni artistici? Troppo business»
Augusto Sciacca: più rispetto - Video

«C’è una sub-cultura dominante che quotidianamente propone modelli e stili di vita di eccessivo consumismo, pregni di un edonismo senza limiti, che vede il patrimonio artistico e culturale con un taglio affaristico e speculativo». Augusto Sciacca, artista messinese trapiantato in città, non si trincera dietro a un dito. Lancia una feroce critica nei confronti di coloro per i quali cultura fa rima con business.

Laurea in Architettura, Sciacca in realtà è innamorato visceralmente dei pennelli più che dei compassi. Il suo studio è un cantiere sempre aperto, un po’ fucina, un po’ laboratorio dove forgiare idee e dove tempera e olio, materia inanimata se non fosse per il suo odore che penetra nelle narici, prende forma e vigore.

Le sue opere sono concepite qui o forse altrove. Ma qui vedono compiutezza. Mai scontate, spesso provocatorie, con rimandi evocativi. Apprezzate da uno stuolo di critici e di alte personalità.

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In mezzo a carte che sembrano fogli di ovatta, tele di iuta violentate da filo spinato, appaiono gli ultimi lavori dai toni chiaroscuri, in fondo ai quali v’è sempre una luce di speranza. Niente foto o giornali alle pareti. Con non poca ritrosia, Sciacca ci mostra qualche immagine che lo vede ritratto con presidenti della Repubblica, ministri, critici.

Professore, partiamo dalla cultura nella società odierna. Quale ruolo deve avere?

«La cultura, l’arte non possono essere considerate occasione di intrattenimento superficiale o evasione. C’è una visione distorta di fare cultura, dominata dalla cieca ideologia della mercificazione, come pura opportunità per fare business alla stregua di una qualsiasi industria. Il ruolo fondamentale della cultura è quello di innalzare il livello della conoscenza e della comprensione, di promuovere lo sviluppo dei cittadini. I musei e i luoghi di cultura vanno visti come un luogo d’incontro, riflessione, studio, dove abitualmente ci si possa ritrovare per comprendere e conoscere il nostro passato. Ciò ha un costo per la comunità, non un profitto, ma porta un arricchimento che produce coscienza e identità culturale».

Come vede Bergamo sotto questo aspetto?

«In città e provincia ci sono moltissime iniziative, associazioni ed enti meritori che svolgono un ruolo di primissimo ordine. Onestamente c’è un’ampia offerta di opportunità culturali in tutti i campi».

Però….

«Bisognerebbe evitare l’eccessiva frammentazione delle proposte e non pensare a iniziative e progetti privi di una reale possibilità di realizzazione, altrimenti esprimiamo sogni velleitari e desideri utopistici destinati al fallimento. Beni culturali e musei hanno bisogno di ingenti risorse per l’attività ordinaria e la manutenzione. Per questo occorre molta prudenza nell’aprire nuove porte. Hanno difficoltà persino istituzioni storiche come il Museo della Porcellana a Firenze o il Metropolitan di New York».

Qual è quindi la sua proposta?

«Servono coordinamento e un piano programmatico sostenibile. A mio parere è necessaria una visione lungimirante e attuabile, dove non si pensi all’immediato o all’effimero, ma si tenga conto delle attitudini dei luoghi e si consideri quali reali sviluppi possano esserci sul territorio».
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