Inaugurata la mostra su Agostini - Foto
L’asso: no a 90mila dollari per un casco

Giovedì 2 giugno è il gran giorno dell’inaugurazione della mostra «Giacomo Agostini. L’età dell’oro». Aperta all’Accademia Tadini di Lovere, l’esposizione che rievoca le gesta sportive del pilota più vincente di tutti i tempi (15 titoli iridati, 122 Gran premi vinti, 10 successi al Tourist Trophy),.

Voluta da Forni Industriali Bendotti per festeggiare i 100 anni di attività, resterà aperta fino al 3 luglio: l’ingresso è gratuito. Il campionissimo ci ha raccontato quali e quanti cimeli i visitatori possono trovare: «Ne ho portati 51: dalle fotografie alle coppe, dall’abbigliamento al mio taccuino, e poi ci sono tre moto Mv Agusta con cui correvo, la 350, la 500 tre cilindri e la quattro cilindri. Moto leggendarie».

Uno degli aspetti più interessanti della mostra è il materiale tecnico. Cosa c’è? «Ho portato il primo e l’ultimo casco che ho indossati, così come la prima e l’ultima tuta. I ragazzi d’oggi, vedendoli, sorrideranno pensando che correvamo con quelle protezioni, ma ai tempi si usava così. All’ultima gara della mia carriera, nell’ottobre del 1977 al Mugello caddi con la 350 a un giro dalla fine, per un grippaggio. Strano, perché ai tempi i grippaggi si verificavano nei primi giri. Lo presi come un segno del destino, qualcuno mi stava dicendo che forse era meglio fermarsi per sempre».

C’è un oggetto a cui è più legato?«Il casco e la tuta della Trento-Bondone in salita del 1961, la mia prima gara: partii con due amici, un meccanico e un panettiere, in macchina, con 4 cotolette preparate dalla mamma che ci sono durate 3 giorni e le bustine per fare l’acqua minerale. Quei sapori me li ricorderò sempre, era una trasferta spartana, con tanti sacrifici. Poi, è logico, i trofei dei Mondiali vinti, su tutti quello conquistato a Monza nel 1968: mi resi conto di essere campione del mondo il lunedì mattina».

I piloti d’oggi cambiano casco e tuta dopo ogni caduta. Ai suoi tempi invece? «Niente di tutto ciò, si faceva tutto in economia. Io ero fortunato perché ero uno dei pochi che aveva una nuova tuta a metà stagione. Quando pioveva nella gara della 350 poi salivo sulla 500 con la tuta inzuppata e gli stivali che schiacciandoli facevano uscire l’acqua, perché avevo solo 5 minuti tra una corsa e l’altra. Anche se poi la gioia del podio ricompensava tutti questi disagi».

Ha ricevuto «proposte indecenti» per i suoi cimeli? «In Giappone, una ventina di anni fa, durante un’esibizione mi avvicinò il segretario di un uomo d’affari che mi disse che voleva comprare il mio casco per 50 mila dollari. Io l’avevo pagato, ai tempi, 10 mila lire, 5 euro di oggi. Ci ho pensato tutta notte ma il giorno dopo ho rifiutato. Si ripresentò il segretario e mi offrì 90 mila dollari. “Che cifra!” ho pensato, ma alla fine l’ho riportato a casa, ed è esposto alla mostra».

Oggetti che invece rimpiange di non avere più?«Un casco che usavo ai tempi della Morini: non so chi me l’abbia preso. E poi una tuta nera che pesava solamente 900 grammi, era come non metterla: anche quella non so chi me l’abbia fatta sparire».

Quali trofei possiamo vedere esposti? «Quelli del Tourist Trophy e quello enorme per la vittoria alla 200 Miglia di Daytona del 1974, quando i giornalisti scrissero: “Agostini ha scoperto l’America”».

Che fine faranno questi cimeli? «Per il momento sono ancora geloso di tutte le mie cose: quando ho un po’ di nostalgia me le guardo, però trovo giusto che i tifosi li possano vedere, anche perché non credo di campare fino a 200 anni. Faremo un bel museo, sto parlando con il sindaco di Bergamo. A Lovere è esposta solo una parte di tutto ciò che ho, quella più importante».

© RIPRODUZIONE RISERVATA