Intervista a Stefano Bollani, l’alchimista
Canterà Napoli all’accademia Carrara

«Il monello, il guru, l’alchimista» è il titolo dell’ultimo scritto di Stefano Bollani sulla musica e sui musicisti che ama di più, ma scopre tra le righe anche un tratto autobiografico. In fondo il pianista toscano è un alchimista che rimescola formule musicali, un monello che crea problemi ai puristi del jazz, un guru del pianismo contemporaneo, capace di indicare direzioni stilistiche da considerare con attenzione.

Bollani è anche un curioso straordinario, amante del repertorio italiano, delle canzoni brasiliane e, dalla via che costeggia i Sud, della musica napoletana. Non a caso l’ultimo suo album, «Napoli Trip», viaggia sino al cuore di certa napoletanità. È il progetto che l’estroso musicista lunedì presenterà in città, invitato dall’Accademia Carrara, nell’antistante piazza dedicata a Giacomo Carrara (inizio ore 21; ingresso 25 euro).

Il rapporto tra Bollani e Napoli è particolare. Passa per le pagine del canzoniere napoletano, ma è soprattutto un abbraccio alla città. Nel disco ci sono diversi brani inediti, a fianco di riletture che entrano nello spirito della musica partenopea. Un percorso che va da Carosone a un classico come «Reginella».

Come si abbraccia una città come Napoli? «Ci vuole Virgilio, per questo ho contattato Daniele Sepe che mi ha dato una mano ad attraversare la città fisicamente, aggiornandomi metaforicamente su tante cose che non sapevo della componente musicale. Una volta trovato il partner in loco, mi serviva gente che avesse uno sguardo ancora più lontano del mio da quella città e quindi ho chiamato Jan Bang dalla Norvegia o Manu Katché. Una serie di personaggi che spostassero ulteriormente l’obiettivo perché in realtà l’idea era quella di fare un affresco dedicato a Napoli, ma il “trip” deve partire dalla città per andare in qualche altra direzione».

Nel disco c’è una canzone molto carina, ironica, che dice: «che bella professione la napoletanità». «Guapparia» parla di Napoli come di una «perversione geopolitica» e in fondo focalizza bene una città che da una parte è piena di problemi e dall’altra è inesorabilmente amabile. «È una città che vive di estremi perché ha un’energia sotterranea che la tiene più viva di tante altre. Questa energia sotterranea, che è poi quella del vulcano, porta la città e i cittadine a reagire, a mantenere saldi alcuni principi che sono fondamentalmente anarchici, anche perché vengono da una popolazione che è stata sempre dominata. Adesso cerca di prendere il meglio dalla dominazione italiana, prima ha cercato di prendere il meglio da quella dei francesi e degli spagnoli, e tutto quanto diventa un melange che i napoletani poi tritano e condiscono alla loro maniera».

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