Manzù scenografo alla Scala
I bozzetti in una monografia

Giacomo Manzù, insieme con Galileo Chini, Salvatore Fiume e David Borovsky è tra i quattro artisti che hanno lavorato alla Scala come scenografi di cui gli Amici della Scala - Umberto Allemandi & C - fanno uscire ora le monografie. Dell’intera collana curata dalla attenta ed esperta Vittoria Crespi Morbio (progetto iniziato nel 2002, finora apparsi 28 libri) si può parlare di un’opera senza rivali. Della attuale quaterna, il nome di maggior spicco ci riguarda da vicino: il bergamasco Giacomo Manzù (1908-1991).

Dodicesimo dei quattordici figli di un calzolaio della città bassa, Manzù (forma dialettale del Manzoni che risulta all’anagrafe), incomincia a disegnare di nascosto mentre è a bottega con il padre tra suole e tomai, e lo fa “sui muri con la calce”. A 11 anni un salto in avanti, decisivo: va a lavorare da un intagliatore, poi da un doratore e stuccatore. Ha già deciso la sua strada: sarà scultore. Nel ‘28 va a Parigi per studiare ma fa la fame e viene rimpatriato dalla polizia locale che lo trova svenuto in un boulevard.

Negli anni Trenta, a Milano, i primi successi. La vita privata invece è durissima: un matrimonio infelice e la nascita di due bambine morte prima dell’anno e di un maschietto che morirà tragicamente a vent’anni. Manzù si rifarà una vita negli anni Cinquanta con la giovane ballerina classica tedesca Inge, sua modella e ispiratrice, in seguito sua sposa e dalla quale avrà due figli. L’artista è oramai affermatissimo in campo mondiale.

Le sue frequentazioni avvengono al massimo livello. Al mondo del teatro lo avvia l’amico Igor Stravinskij, che lo vuole per il suo Oedipus Rex (Roma, 1964). Ed è sempre Stravinskij a portarlo alla Scala (Histoire du soldat 1970) dove Manzù disegnerà poi (1973) le scene per il balletto “L’après midi d’un faune” di Debussy, una novità per Milano. Sono, in entrambi i casi, le atmosfere rarefatte di un’anima forte e gentile: pochi elementi, come le grandi pietre levigate o uno stralcio d’albero in un contesto rigorosamente bianco. Dipinge i figurini dei costumi con rari colori acquerellati. Ha il tocco pudico, riverente, ma anche determinato, del ragazzo che “disegnava sui muri con la calce”. Una testimonianza importante, nel percorso artistico del maestro.

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