«Morte di un commesso viaggiatore»
Il capolavoro di Miller al Donizetti - Video

Ancora un appuntamento da non perdere la prossima settimana nella Stagione di prosa del Teatro Donizetti di Bergamo preparata da Maria Grazia Panigada:

«Morte di un commesso viaggiatore» (dal 29 marzo al 3 aprile, sempre alle 20,30 eccetto la domenica alle 15,30) di Arthur Miller nella regia e interpretazione di Elio De Capitani (produzione del Teatro dell’Elfo). Dopo «Il prezzo», si completa l’omaggio al drammaturgo statunitense nel decennale della morte (2005-2015) con il suo testo più famoso, in scena – anche in questo caso – nella traduzione di Masolino D’Amico.

Elio De Capitani, regista e protagonista, ha conquistato con questa sua interpretazione di Willy Loman – figura tragica di uomo comune nel quale potrebbe riconoscersi chiunque – il premio Hystrio, il premio Flaiano e il premio dell’Associazione Nazionale dei Critici. Il teatro di Miller presenta molte coincidenze con il momento storico attuale: il mutuo da pagare, la disperazione di chi si uccide perché non ha più i mezzi per sopravvivere o perché ha fallito nella scalata sociale. Il tema di fondo è l’apparenza, quel «far finta» che non è altro che la perenne costruzione di noi stessi per come vogliamo apparire, l’uomo ha bisogno di simulazione e al tempo stesso può rimanerne schiavo. Uno spettacolo importante in cui si mescolano armoniosamente il piano del presente a quello del passato, in un andare e venire fra realtà e sogno.

«Costruito inizialmente sul ricordo di mio zio - spiegava Arthur Miller - il personaggio di Willy Loman, il protagonista di Morte di un commesso viaggiatore, s’impadronì velocemente della mia immaginazione e divenne qualcosa che non era mai esistito prima: un commesso viaggiatore con i piedi sui gradini della metropolitana e la testa nelle stelle».

Un’immagine che racconta la grandezza di questo personaggio, figura tragica di uomo comune nel quale potrebbe riconoscersi chiunque, nell’America del dopoguerra come oggi. Un’universalità che ha portato questo testo, andato in scena per la prima volta nel febbraio del 1949 a New York per la regia di Elia Kazan, a ottenere il più clamoroso successo teatrale di quegli anni, negli Stati Uniti come in molti altri paesi.

Un classico del Novecento che Elio De Capitani affronta, dopo il lavoro su Tennessee Williams, per proseguire una personale riflessione sulla vita d’oggi e sul tema dei rapporti tra giovani e adulti attraverso la drammaturgia americana d’ogni epoca. Accanto a lui nel ruolo della moglie Linda Loman, la sua compagna d’arte e di vita Cristina Crippa, protagonista dei suoi recenti allestimenti di Improvvisamente, l’estate scorsa e della Discesa di Orfeo; i figli dei protagonisti (Biff e Happy) sono interpretati da Angelo Di Genio e Marco Bonadei, giovani attori dell’applauditissimo gruppo di The history Boys, come lo sono anche Vincenzo Zampa (Howard) e Andrea Germani che è Bernard, il figlio di Charlie, l’amico-antagonista, interpretato da Federico Vanni. Da History boys arriva anche Gabriele Calindri, da alcuni anni presenza costante nelle produzioni dell’Elfo, che qui è lo zio Ben. Due giovani attrici completano il cast: Alice Redini (già protagonista all’Elfo in Viva l’Italia) e Marta Pizzigallo, premio Hystrio 2013.

Miller racconta gli ultimi due giorni di vita di un commesso viaggiatore, prima del suo suicidio, riuscendo a mettere in luce, oltre alla precarietà della sua condizione socio-economica – che oggi appare ancora di grande attualità – il dramma di un fallimento esistenziale. Brillante venditore dalla lingua sciolta, che ha fondato la sua vita sulla rincorsa del successo personale e professionale e sull’aspirazione alla «popolarità» per sé e per i propri figli, Loman si ritrova escluso dal «sogno americano»: a 63 anni non riesce più a piazzare la merce, non regge più la fatica dei lunghi viaggi attraverso l’America (che un tempo avevano per lui il sapore dell’avventura e della conquista). Soprattutto non riesce più a illudersi e illudere, vede sgretolarsi il castello di grandi sogni e piccole bugie che ha faticosamente costruito: «Ormai è ridicolo, fuori moda, ma è così», ammette la moglie Linda che da una vita lo sostiene. Nei figli Biff e Happy ha alimentato le stesse illusioni, proiettando su di loro aspettative e fallimenti, fino a minarne l’equilibrio e la felicità: «Ecco il prodigio, il prodigio di questo paese... che un ragazzo possa finire coperto di diamanti anche solo grazie alla sua popolarità, al suo sorriso!».

Ormai incapace di stare nella realtà – con i piedi ben piantati «sui gradini della metropolitana» – Willy non distingue più tra presente e passato, sogni e ricordi, tra quanto si agita nella sua testa (il titolo avrebbe dovuto essere proprio The inside of his head) e la vita vera. Per mettere in scena questo groviglio di emozioni, Arthur Miller sceglie una via totalmente innovativa: tutto quello che «accade» nella mente di Willy, viene messo concretamente in scena, senza distinzioni tra flash-back, ricordi o visioni future.

La regia e l’interpretazione di De Capitani seguono questa strada, come anche la scena di Carlo Sala che non individua luoghi deputati, ma ridisegna il palco con una parete obliqua, da cui emergono pochi elementi e arredi, per definire uno spazio (e un tempo) che è mentale e fisico, dentro e fuori, presente e passato.

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